Tassatività e disastro ambientale o sanitario.

SELENE DESOLE

Tassatività e disastro ambientale o sanitario.

Il fondamento del principio di tassatività si rinviene nel più generale principio di legalità e la sua rilevanza nell’ordinamento penale si pone in riferimento alla verifica della compatibilità con il medesimo delle fattispecie incriminatrici.

In particolare, è di rilievo il dibattito giurisprudenziale che ha interessato la fattispecie del disastro ambientale, sia nella formulazione introdotta con la recente legge n. 68/2015, sia nelle interpretazioni di origine pretoria svolte con riferimento alla fattispecie del disastro innominato, di cui all’art. 434 c.p.

Nella verifica della compatibilità delle fattispecie del disastro innominato e del disastro ambientale di recente introduzione con il principio di tassatività, è necessario premettere una disamina sulla ratio del medesimo principio e sul suo fondamento normativo.

Come detto in incipit, la tassatività può considerarsi quale corollario del principio di legalità, i cui riferimenti normativi sono rinvenibili in fonti, sia di rango costituzionale, sia ordinario, nonché di livello extra nazionale. Il brocardo latino “nullum crimen sine lege” esprime in maniera sintetica il senso del principio di legalità, ovvero che non possa esserci reato se non vi sia una legge che lo preveda. Il medesimo concetto è espresso chiaramente dall’art. 25 co. 2 Cost., ai sensi del quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione del fatto. Dal dettato costituzionale, guardando anche al comma terzo dell’art. 25, è possibile rilevare che il principio di legalità debba investire, non solo l’incriminazione in sé, ma anche la pena e l’eventuale misura di sicurezza.

Nella legge ordinaria, il principio di legalità era già espresso nella disposizione codicistica di cui all’art. 1 c.p., per la quale nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto dalla legge come reato, né con pene che non siano da essa stabilite.

A livello sovranazionale, deve menzionarsi l’art. 7 Cedu, la cui rubrica è denominata “Nessuna pena senza legge” e il cui contenuto esprime appieno il principio di legalità, il quale, nella concezione della Corte europea, è da intendersi in maniera estensiva rispetto al nostro ordinamento giuridico; bisogna, infatti, precisare che la Cedu si ispira a un sistema giuridico di common law, dove è fonte del diritto anche il precedente giurisprudenziale, a differenza del nostro ordinamento che, inquadrato quale sistema di civil law, non ammette la vincolatività del precedente e considera fonte del diritto solo la legge, strictu sensu intesa.

Posta questa necessaria premessa sul principio di legalità in generale, può procedersi con la definizione del principio di tassatività.

In primo luogo, deve precisarsi che sul medesimo si sono manifestate due differenti correnti dottrinali: la prima che ritiene che il principio di tassatività, debba distinguersi da quello di determinatezza e di precisione, rappresentando ciascuno un significato differente rispetto all’altro, mentre la seconda sostiene che i tre corollari citati rappresentino sinonimi del medesimo concetto.

In particolare, sulla base della prima corrente dottrinale, il principio di determinatezza si riferirebbe all’utilizzo di termini chiari da parte del legislatore nella formulazione delle fattispecie incriminatrici, di modo che l’interprete non possa equivocare il significato delle parole utilizzate. Invece, il principio di precisione si riferirebbe all’utilizzo di termini adeguatamente specificati in modo da poter essere agevolmente dimostrati nel giudizio. Infine, la tassatività sarebbe esplicazione del divieto di analogia; il procedimento di interpretazione analogica si sostanzia nell’applicazione, da parte dell’interprete, di una norma a un caso per il quale la norma non sia espressamente prevista, in virtù dell’analogia del caso medesimo con il caso che sia, invece, normativamente previsto. Ai sensi dell’art. 14 delle preleggi, le leggi penali, così come quelle eccezionali, non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati, con la conseguenza che è preclusa qualsiasi applicazione analogica della norma penale. Tuttavia, non può tralasciarsi che il divieto di analogia, può trovare un’eccezione in ambito penale, in applicazione di altro fondamentale principio, ovvero quello del favor rei, il quale permette di utilizzare l’interpretazione analogica anche in materia penale ogni qual volta la stessa comporti effetti favorevoli per il reo. Pertanto, il divieto di analogia, in tale settore, riguarda unicamente l’analogia in malam partem.

In ogni caso, anche aderendo alla concezione per la quale il principio di tassatività ricomprenderebbe in sé la precisione, la determinatezza e il divieto di analogia, è evidente che tali principi siano fondamentali nell’interpretazione e applicazione del diritto penale.

La ratio del principio di tassatività, quale corollario del principio di legalità, si rinviene nella necessità per i consociati dell’ordinamento giuridico di poter scegliere consapevolmente quali condotte adottare, in ragione del principio della calcolabilità delle conseguenze. Il diritto penale, infatti, ha anche la funzione general-preventiva di orientare le condotte, indicando in maniera chiara e precisa quali sono le conseguenze riconducibili ad esse. Inoltre, il rispetto del principio di tassatività, sia come linea guida per il legislatore, che quale criterio interpretativo per il giudice, consente di rispondere anche alla funzione special-preventiva del diritto penale: conformemente all’art. 27 co. 3 Cost., ove viene specificata la funzione rieducativa della pena, solo un’incriminazione precisa alla quale sono ricondotte pene predeterminate consente di far sì che il destinatario della norma incriminatrice possa comprendere il senso della punizione subita; se così non fosse, il soggetto sottoposto a pena potrebbe non comprendere il significato della medesima con la conseguenza che potrebbe essere portato a delinquere ancora.

Alla luce delle argomentazioni sulla rilevanza del principio di tassatività nel nostro ordinamento giuridico, è evidente che sia fondamentale, nel rispetto delle finalità perseguite dal diritto penale, che le norme incriminatrici debbano essere rispondenti ai parametri di precisione e determinatezza, di modo da ridurre al minimo le possibilità di applicazione analogica della fattispecie.

Il problema del divieto di analogia, secondo un certo orientamento, non si porrebbe con riferimento alle norme penali di favore, dal momento che tale concezione ritiene che le medesime non siano coperte da riserva di legge; si pensi ad esempio alle norme che prevedono cause di giustificazione, le quali, se ritenute non rientranti nell’elemento oggettivo del reato, potrebbero essere applicate al di fuori delle ipotesi delle ipotesi espressamente previste.

Con riferimento alla pronunce della Corte Costituzionali che hanno rilevato l’illegittimità costituzionale della fattispecie incriminatrice in relazione al principio di tassatività, di fondamentale rilevanza è stata la n. 96 del 1981 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del delitto di plagio di cui al’’art. 603 c.p.; la fattispecie incriminava la condotta di colui che sottoponesse una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione. La Consulta ha rilevato che la norma difettava sotto il profilo della determinatezza dal momento che non erano definite le modalità di sottoposizione al proprio potere con conseguente stato di soggezione. Deve, tuttavia, segnalarsi che pronunce sulla scorta del principio di tassatività, da parte della Corte Costituzionale, sono state per lo più isolate. Per esempio, di recente la Consulta ha ritenuto che non vi fosse violazione del principio di tassatività con riferimento alla fattispecie degli atti persecutore di cui all’art. 612 bis c.p.

La recente introduzione nell’ordinamento giuridico dei nuovi delitti contro l’ambiente, per effetto della legge 68 del 2015, ha posto nuovi quesiti sulla compatibilità della fattispecie del disastro ambientale di cui all’art. 452 quater c.p. con il principio di tassatività, latamente inteso. Per comprendere le problematiche emerse con il 452 quater c.p., è tuttavia necessario fare un passo indietro. Infatti, prima dell’introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, la norma di riferimento applicata alle ipotesi di disastro ambientale, mancandone una apposita, era quella di cui all’art. 434 c.p., sul c.d. disastro innominato.

L’art. 434 c.p. è rubricato “crollo di costruzioni o altri disastri dolosi” e prevede la rilevanza penale della condotta di colui che, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti – ove sono previsti altri reati contro l’incolumità pubblica- , commetta un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro. In particolare, per ciò che qui interessa, si deve prendere in considerazione l’ultima parte dell’incriminazione “ovvero un altro disastro”. La norma non definisce il concetto di disastro; tuttavia, in considerazione della clausola di sussidiarietà presente nell’incipit dell’art. 434 c.p., bisogna senz’altro escludere dal concetto di altro disastro tutti gli altri disastri già tipizzati dal legislatore negli articoli precedenti, contenuti nel titolo dei delitti contro la pubblica incolumità.

La vaghezza dell’espressione “altro disastro” ha consentito spesso agli interpreti di applicare la norma in casi svariati; in particolare, la lacuna normativa esistente nel nostro ordinamento in materia di delitti ambientali (almeno, fino all’introduzione della l. 68 del 2015) ha condotto all’applicazione dell’art. 434 c.p. anche ai casi di disastro ambientale. Tuttavia, permangono dei dubbi sulla possibile applicazione, anche attualmente, della disposizione in esame, a causa della formulazione della norma di cui all’art. 452 quater c.p.

Infatti, l’articolo si apre con la clausola “fuori dei casi previsti dall’art. 434 c.p.”;  questo potrebbe far presupporre che residui ancora un margine di applicazione della fattispecie del disastro innominato al di fuori dei casi che rientrino nella tipizzazione contenuta nell’art. 452 quater c.p. Allora, a livello interpretativo si pone il problema di trovare una definizione di disastro ambientale e di individuare i casi di disastro che non rientrino in tale concetto e sui quali potrebbe residuare l’applicabilità dell’art. 434 c.p.

Prima ancora, per chiarezza espositiva, è necessario individuare gli elementi caratterizzanti il disastro in generale: innanzitutto, le fattispecie di disastro sono costruite quali reati di pericolo, interpretato come pericolo concreto dalla giurisprudenza più recente, attenta all’applicazione del principio di offensività; si tratta di reati a tutela dell’incolumità pubblica, i quali si configurano a prescindere dalla verificazione di morte o lesioni, le quali rappresentano comunque delle circostanze aggravanti della fattispecie; altro elemento essenziale è la manifestazione di una forza violenta (naturale o cinetica) da cui deriva il pericolo per la pubblica incolumità; inoltre, il pericolo che si manifesta deve essere istantaneo. L’individuazione di questi elementi, effettuata sulla base dell’analisi delle fattispecie di disastro tipizzate, comporterebbe la necessità di rinvenire gli stessi elementi anche ai casi in cui si intenda applicare la norma sul disastro innominato di cui all’art. 434 c.p.

La fattispecie del disastro innominato è stata applicata, tra l’altro, in un noto episodio verificatosi nella cittadina di Seveso negli anni settanta. A seguito di un’esplosione violenta in un’industria chimica, si era formata una nube tossica di diossina sopra Seveso; la nube ha arrecato danni immediati, nonché danni ulteriori che si sono manifestati solo in epoca successiva, quali conseguenze dell’esposizione alla sostanza tossica. Il fatto venne configurato quale disastro innominato, non esistendo all’epoca una norma sul disastro ambientale applicabile al caso in esame. Questo ha condotto il legislatore, negli anni successivi, anche grazie al diritto europeo e comunitario, a prestare maggiore attenzione al bene ambiente, giungendo all’istituzione del ministero dell’Ambiente nel 1986 e all’introduzione del Codice dell’ambiente nel 2006. Ancora però non si era provveduto all’introduzione di delitti contro l’ambiente e così anche situazioni che non presentavano i caratteri qualificanti il disastro furono oggetto di applicazione della norma penale sul disastro innominato. A tal proposito, si devono riportare le ipotesi di disastro sanitario: in tali casi, manca l’elemento della forza violenta naturale o cinetica, nonché un mutamento dello stato dei luoghi che caratterizza i disastri in genere, eppure si configura il pericolo per la pubblica incolumità. Una certa giurisprudenza ha ritenuto che il mutamento dei luoghi possa anche essere rappresentato dalla verificazione di fenomeni epidemici. Tuttavia, tale interpretazione è stata oggetto di critiche in virtù della violazione del principio di tassatività, con un’applicazione analogica della fattispecie.

Si è parlato di disastro innominato anche nel noto caso Eternit. Nondimeno, anche in tale ipotesi, non può parlarsi di una forza violenta immediata; gli effetti delle polveri di amianto si sono manifestati dopo molti anni, anche a distanza di tempo dalla chiusura degli stabilimenti. Infatti, la giurisprudenza si è posta il dubbio su quale fosse il momento consumativo del reato, laddove l’evento lesivo delle morti e delle lesioni si verificasse molto dopo la condotta incriminata. Per questo, si è osservato che il disastro sia un reato di condotta e non di evento, con le ripercussioni – eticamente discutibili- in termini di tempi di prescrizione del reato.

Anche nel caso Eternit, potrebbe sostenersi che sia stata fatta applicazione della fattispecie di cui all’art. 434 c.p., con un’interpretazione estensiva del concetto di disastro. Se di interpretazione estensiva si tratta, allora dovrebbe concludersi per l’ammissibilità di tale configurazione, dal momento che non costituisce applicazione analogica in malam partem, ma mera opera interpretativa sulla base della quale si attribuisce alle parole un significato più esteso di quello emergente prima facie, ma comunque ad esse riconducibile. Se, invece, intendessimo l’operazione qualificabile alla stregua di un’analogia, allora dovremmo concludere per l’inammissibilità dell’applicazione dell’art 434 c.p. ai casi di disastro sanitario, in quanto privi degli elementi qualificanti il disastro per come individuati sulla base dell’analisi delle fattispecie a tutela dell’incolumità pubblica.

Con la legge 68 del 2015, è stata data una definizione di disastro ambientale, ove il comma secondo dell’art. 452 quater c.p. specifica che costituiscono disastro ambientale, alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo. Nell’ultimo comma, infine, è prevista un’aggravante laddove il disastro si verifichi in aree protette o sottoposte a vincoli particolari.

All’alba dell’introduzione della nuova fattispecie, i primi commentatori hanno osservato che anche in ordine all’art. 452 quater permangono dubbi sulla piena compatibilità con il principio di tassatività. Infatti, le nozioni date di disastro ambientale non paiono prestarsi a interpretazioni univoche. Per esempio, la nozione stessa di ecosistema non risulta di agevole individuazione, potendo la medesima prestarsi a differenti letture. Così come dubbio è il significato attribuibile all’avverbio “abusivamente”. Questo potrebbe condurre i giudici a sollevare questioni di legittimità costituzionale in tutti i casi tacciati di non sufficiente determinatezza.

Inoltre, emergono contraddizioni a livello interpretativo circa l’ambito di applicabilità dell’art. 434 c.p., espressamente richiamato dal 452 quater c.p. Invero, nella prima formulazione della norma il richiamo all’art. 434 non era presente, ma in seguito, nella formulazione poi divenuta definitiva è stata inserita tale indicazione. Infatti, si era manifestato il timore che la disciplina sulla successione di leggi penali nel tempo avrebbe potuto produrre effetti non ammissibili di tipo abolitivo nei confronti di importanti casi ai quali, in mancanza di una norma specifica sul punto, era stato applicato l’art. 434 c.p. Per questo motivo, si è preferito mantenere un richiamo al 434 c.p., ma questo desta ancora perplessità sull’ambito applicativo della nuova fattispecie di disastro ambientale. Tuttavia, il fatto che i delitti contro l’ambiente siano espressamente posti a presidio del bene giuridico ambiente, fa presupporre che non possano trovarsi in rotta di collisione con le ipotesi rientranti nell’art. 434 c.p., in quanto trattasi di fattispecie posta a tutela del bene giuridico della pubblica incolumità e di reato di condotta, non di evento come il disastro ambientale ex art. 452 quater c.p.

Ad ogni modo, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore chiarificatore in ordine alla norma incriminatrice applicabile ai casi di disastro sanitario, soprattutto in ordine al n. 3 dell’art. 452 quater che sembra descrivere proprio le fattispecie discussa e che presenta ancora un richiamo alla tutela della pubblica incolumità, piuttosto che al bene giuridico ambiente.

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