Tema svolto di diritto amministrativo: la pregiudiziale amministrativa.

La pregiudizialità amministrativa*

*Estratto da Temi svolti per il concorso in magistratura, Cierre Edizioni, 2010, a cura di S. Ruscica.

 

di Nicola D’Agnese

Schema preliminare di svolgimento della traccia

–    ‑Inquadramento generale.

–    ‑La disapplicazione.

–    ‑Le tesi dottrinali.

–    ‑I regolamenti.

–    ‑Le posizioni di Cassazione e Consiglio di Stato.

–    ‑Gli interventi recenti della Corte Costituzionale.

–    ‑L’adeguamento della giurisprudenza di legittimità.

Dottrina

Clarich, La pregiudizialità amministrativa: una nuova smentita da parte della cassazione alla vigilia di un chiarimento legislativo, in Danno e resp., 2009, 731.

Levita, Sulla pregiudizialità amministrativa: si perpetua il conflitto fra Cassazione e Consiglio di Stato, in Cassazione Civile 2007, Roma, 2007, 91 ss.

Torchia, La pregiudizialità amministrativa dieci anni dopo la sentenza 500/99: effettività della tutela e natura della giurisdizione, in Giornale dir. amm., 2009, 385.

Villata, L’adunanza plenaria del consiglio di stato ritorna, confermandola, sulla c.d. pregiudizialità amministrativa… ma le sezioni unite sottraggono al giudice amministrativo le controversie sulla sorte del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, in Dir. proc. ammin., 2008, 300.

Giurisprudenza

Cass. Civ., Sez. Un., 23 dicembre 2008, n. 30254

Proposta al giudice amministrativo domanda autonoma di condanna al risarcimento del danno da esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi a ciò attinenti la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l’illegittimità dell’atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento.

Cons. Stato, Sez. VI, 17 luglio 2008, n. 3592

In virtù del principio della c.d. «pregiudizialità amministrativa», si deve escludere la possibilità di esperire una domanda di carattere risarcitorio di fronte al giudice amministrativo, qualora questa non sia collegata ad una relativa domanda volta ad ottenere l’annullamento del provvedimento, seppur silenzioso, della P.A.; ciò si evince dalle disposizioni dell’art. 7, L. n. 205/2000, che qualifica le questioni relative al risarcimento del danno come eventuali e consequenziali a quelle rientranti nella giurisdizione amministrativa.

TAR Lombardia, Sez. III, 12 agosto 2008, n. 3647

L’azione di risarcimento danni, per lesione di interessi legittimi, non può essere esperita senza la preventiva impugnazione dell’atto amministrativo, che si assuma lesivo; in caso di mancata impugnazione di tale atto non è proponibile alcuna eccezione relativa alla prescrizione, non sussistendo alcun diritto al risarcimento del danno.

TAR Basilicata, 2 febbraio 2007, n. 3

Secondo la regola della c.d. pregiudizialità amministrativa, l’azione per il risarcimento del danno conseguente alla lesione di situazioni aventi consistenza di interesse legittimo è ammissibile solo ove sia stato tempestivamente impugnato il provvedimento (ritenuto) illegittimo e sia stato coltivato con successo il relativo giudizio.

Legislazione correlata

Codice Civile, artt. 2935, 2945.

Legge n. 1034/1971.

Legge n. 241/1990, art. 21-octies.

Legge n. 205/2000.

SVOLGIMENTO

La pregiudiziale amministrativa afferisce alla possibilità del privato di ottenere il risarcimento del danno, quando sia stata lesa una sua posizione soggettiva, a cui l’ordinamento riconosce dignità d’interesse legittimo, da un provvedimento amministrativo illegittimo.

La nuova formulazione dell’art. 7, co. 3, della L. del 1971/1034 a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 7 della L. 205/2000 determinando la concentrazione dei due giudizi, risarcitorio e costitutivo, di fronte al G.A. sembrava aver mitigato la questione della pregiudizialità amministrativa nonché al rapporto fra le due azioni.

Giova ricordare, che la dottrina e la giurisprudenza si dividono su due fronti, l’uno a sostegno della pregiudizialità amministrativa e l’altro dell’autonomia del rimedio risarcitorio.

La dottrina tradizionale e la giurisprudenza amministrativa maggioritaria rimangono, invece, affezionate al principio del necessario previo annullamento della determinazione amministrativa.

A sostegno di tale posizione, “tesi favorevole alla pregiudizialità”, e dunque della non praticabilità della via del risarcimento diretto del danno da determinazione amministrativa illegittima, vi sono due orientamenti fondamentali: il rischio di elusione del termine di decadenza insito nel concedere al soggetto che abbia pretermesso l’impugnazione tempestiva del provvedimento lesivo, la possibilità di invocare illegittimità ai fini del risarcimento nei termini di prescrizione, così incidendo negativamente sui principi di continuità e celerità dell’agente pubblico e sull’esistenza che le situazioni create da atto illegittimo non possono essere rimesse in discussione a lungo termine; e la non attribuzione al G.A. di un potere di disapplicazione che non gli è proprio alla luce del potere di annullare in via principale la determinazione.

Inoltre è stato osservato che l’art. 7, L. 205/2000 ha inserito nella giurisdizione amministrativa l’azione risarcitoria, confermando implicitamente i principi tradizionali di tale giurisdizione, primi fra tutti la struttura impugnatoria del processo e, quindi, la regola della pregiudizialità.

Ancora, va sottolineato che l’art. 7 riconosce anche il potere di risarcire, qualificando il riconoscimento alla stregua di diritto patrimoniale consequenziale, confermando la dipendenza dell’azione risarcitoria da quella di annullamento e, l’impossibilità che la richiesta risarcitoria si atteggi a domanda unica e solitaria.

Quanto alla “tesi dell’autonomia del rimedio risarcitorio”, va osservato che la dottrina ha portato a sostegno della propria posizione alcuni argomenti.

Primo fra questi, l’incomprensibile “imposizione” al privato di esprimere l’azione impugnatoria dell’atto amministrativo illegittimo causativo del danno laddove lo stesso soggetto non abbia più la possibilità di conseguire il provvedimento amministrativo o perda il relativo interesse.

Ancora, in caso di danni cagionati da meri comportamenti illeciti di tipo non provvedimentale. In tali ipotesi, secondo alcuni studiosi, sembrerebbe irragionevole costringere il G.A. ad annullare l’atto al fine di concedere la tutela risarcitoria.

In secondo luogo, in merito all’argomentazione sull’aggiramento dei termini decadenziali a seguito dell’esperimento dell’azione risarcitoria a fronte dei danni cagionati da provvedimento inoppugnato nei termini, si è ribattuto che la condanna al risarcimento del danno non incide sull’atto che rimane valido ed efficace, le esigenze di “certezza” e “stabilità” delle statuizioni amministrative resterebbero impregiudicate.

Rispetto alla mancanza di un potere di disapplicazione in capo al G.A., in dottrina, si afferma che può obiettarsi che la mancata previsione normativa deriva dall’inutilità del congegno disapplicativo in un giudizio amministrativo volto all’annullamento di atti, in ragione della ben più efficace tutela caducatoria.

Nel momento in cui, però, il processo amministrativo si apre al rapporto, ammettendosi la proponibilità di un’azione risarcitoria, è evidente che la struttura del processo deve adeguarsi alle nuove esigenze di tutela, poiché gli strumenti tradizionali potrebbero rivelarsi insufficienti o inadeguati.

Ancora, in tema di regolamenti e dunque della loro disapplicazione, è stato osservato che la tutela risarcitoria non implica la disapplicazione dell’atto secondo il meccanismo di cui agli artt. 4 e 5 della LAC.

Infine la dottrina ha osservato la qualificazione del risarcimento alla stregua di questione consequenziale al provvedimento illegittimo, sta ad evidenziare un rapporto di causa, effetto, non certo la necessità processuale di previa eliminazione del mondo giuridico del provvedimento amministrativo.

Occorre ricordare che la questione della pregiudizialità amministrativa giunge a lambire i confini della più ampia tematica della giurisdizione amministrativa dal momento che a fronte del riconoscimento da parte sia della Plenaria 4/2003 e sia della Cassazione del 2003 della giurisdizione del G.A. nella materia del risarcimento del danno, emergono osservazioni critiche da parte della dottrina che, invece, afferma in ipotesi di risarcimento del danno cagionato da provvedimento inoppugnabile nei termini di decadenza la giurisdizione del G.O. in assenza di consequenzialità tra giudizio sul danno e giudizio di annullamento.

Sul punto, recentemente, è intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 4/03 e poi n. 12/2007, sostenendo che una volta concentrata presso il Giudice amministrativo la tutela impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non è possibile l’accertamento incidentale da parte del G.A. dell’illegittimità dell’atto non impugnato nei termini decadenziali, come sopra ricordato, al solo fine di un giudizio risarcitorio e che l’azione di risarcimento del danno può essere proposta sia unitamente all’azione di annullamento che in via autonoma, ma che è ammissibile solo a condizione che sia impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento, in quanto al Giudice amministrativo non è dato di poter disapplicare atti amministrativi non regolamentari.

I sostenitori della pregiudizialità hanno ritenuto di avere conforto nella sentenza della Corte Costituzionale 204/2004, seguita dalla sentenza 191/2006, che, nel giudicare esente da censure d’incostituzionalità l’art. 7, L. 205/2000, nella parte in cui riconosce al G.A. il potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, ha ritenuto che non si tratta di una nuova “materia” attribuita alla giurisdizione del G.A., bensì di uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.

La dottrina minoritaria ha scorto, pur in mancanza di un riferimento esplicito al tema della pregiudizialità, nelle affermazioni della Consulta argomenti favorevoli alla tesi che afferma la necessità del previo annullamento dell’atto amministrativo.

La pronuncia n. 204/2004, sostiene questa linea interpretativa, avrebbe negato l’assioma, posto alla base della sentenza delle S.U. n. 500/1999, della natura di autonomo diritto soggettivo propria della posizione soggettiva di chi lamenta un danno ingiusto causato da un atto amministrativo illegittimo ed ha affermato, invece, che la tutela risarcitoria è il completamento dell’azione di tutela dell’interesse legittimo pretensivo, quindi, non è più pensabile alcuna sopravvivenza di distinte azioni risarcitorie dopo la consumazione dell’azione impugnatoria propria dell’interesse legittimo.

La stessa Corte Costituzionale, sentenza n. 191/2006, peraltro, tornata di recente a ribadire la legittimità costituzionale del sistema di riparto disegnato dall’art. 7 della L. n. 205/00, sembra confutare, secondo certuni, la linea interpretativa esposta.

Nell’escludere che nell’ipotesi di domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno la giurisdizione competa necessariamente al Giudice ordinario, la pronuncia ha cura di precisare che la Corte non intende prendere posizione sul tema della natura della situazione soggettiva sottesa alla pretesa risarcitoria, ovvero sulla natura (di norma secondaria, id est sanzionatoria di condotte aliunde vietate, oppure primaria) dell’art. 2043 c.c., ma esclusivamente ribadire che laddove la legge, come afferma l’art. 35 del D.Lgs. n. 80/1998, costruisce il risarcimento del danno, ai fini del riparto di giurisdizione tra Giudice ordinario e Giudice amministrativo, come strumento di tutela affermandone, com’è stato detto, il carattere “rimediale”, essa non viola alcun precetto costituzionale e, anzi, costituisce attuazione del precetto dell’art. 24 Cost. laddove questo esige che la tutela giurisdizionale sia effettiva e sia resa in tempi ragionevoli.

Con i più recenti pronunciamenti del Giudice amministrativo, Cons. Stato n. 2436/2009, che ha nuovamente investito del tema la Plenaria, nonché Cons. Stato n. 1917/2009, il Consigli di Stato nel ribadire il dissenso rispetto alla posizione delle S.U. di cui si dirà meglio in appresso, è sembrato proclive a spostare il problema della pregiudiziale dal piano processuale a quello sostanziale, trasformandola da preclusione di rito in ragione di rigetto per difetto dell’ingiustizia del danno ex art. 2043 c.c.

Più precisamente, la sentenza n. 1917/2009 ha osservato che l’applicazione del principio della pregiudiziale non comporta una preclusione di ordine processuale all’esame nel merito della domanda risarcitoria, ma determina un esito negativo nel merito dell’azione di risarcimento.

Ne consegue che la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata impugnazione dell’atto fonte del danno consente a tale atto di operare in modo precettivo dettando la regola del caso concreto, autorizzando la produzione dei relativi effetti ed imponendone l’osservanza ai consociati ed impedisce così che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione in esecuzione dell’atto inoppugnato.

Il Consiglio ha aggiunto che il principio della pregiudiziale non si fonda sull’impossibilità per il G.A. di esercitare il potere di disapplicazione, ma sull’impossibilità per qualunque giudice di accertare in via incidentale e senza efficacia di giudicato l’illegittimità dell’atto, quale elemento costitutivo della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.; in sostanza, ove l’accertamento in via principale sia precluso nel giudizio risarcitorio in quanto l’interessato non sperimenta, o non può sperimentare, i rimedi specifici previsti dalla legge per contestare la conformità a legge della situazione medesima, la domanda risarcitoria deve essere respinta nel merito perché il fatto produttivo del danno non è suscettibile di essere qualificato illecito.

La pregiudiziale amministrativa è, quindi, connessa al principio della certezza delle situazioni giuridiche di diritto pubblico, al cui presidio è posto il breve termine decadenziale d’impugnazione dei provvedimenti amministrativi.

Come correttamente osservato dai primi commentatori, la tesi della pregiudiziale è stata ripudiata dalla Cassazione a S.U., con le ordinanze delle S.U. ord. n. 13659/2006; ord. n. 13660, seguite da ultimo da Cass., n. 30254/2008, che ha affermato il principio nell’interesse della legge proprio in sede di definizione del ricorso proposto avverso la rammentata decisione n. 12/2007 della Plenaria, e dall’Ordinanza n. 5464/2009, che ha annullato per diniego di giurisdizione la decisione del Consiglio che aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda risarcitoria non preceduta o accompagnata da tempestivo ricorso per annullamento.

Le S.U., all’esito di un articolato percorso argomentativo, hanno in primo luogo affermato, con le Ordinanze del giugno 2006, la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in presenza di un concreto esercizio del potere, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano, confutando così la tesi in base alla quale in presenza di esercizio separato dall’azione risarcitoria dopo aver ottenuto l’annullamento dell’atto o del provvedimento illegittimo, la giurisdizione spetterebbe al G.O., cui compete in via generale la cognizione sulle posizioni di diritto soggettivo.

Tale tesi, secondo la dottrina, si porrebbe in insanabile contrasto con il principio di cui all’art. 24 Cost. in quanto disattende la svolta voluta dal legislatore di assicurare all’interesse legittimo una tutela piena concentrata dinanzi ad un unico giudice per il principio di effettività che reca in sé la ragionevolezza dei tempi di tutela.

D’altro canto, dicono gli studiosi, dall’attribuzione al G.A. della cognizione sulle controversie in esame, non può derivare, ad avviso delle S.U. una compressione della tutela risarcitoria, per effetto della sottoposizione della relativa azione al termine di decadenza previsto unicamente per l’azione di annullamento.

A giudizio delle S.U. ammettere la necessaria dipendenza del risarcimento dal previo annullamento dell’atto illegittimo e dannoso, anziché dal solo accertamento della sua illegittimità significherebbe restringere la tutela che spetta al privato di fronte alla pubblica amministrazione ed assoggettare il suo diritto al risarcimento del danno, anziché alla regola generale della prescrizione, ad una Verwirkung amministrativa, tutta italiana.

Nell’ipotesi in cui la tutela risarcitoria autonoma della posizione dell’interesse lesa dall’illegittimo esercizio del potere venisse negata dal G.A., in virtù della nota teoria della pregiudizialità, di fatto il privato vedrebbe compromesso il diritto fondamentale, nonostante l’avvenuta concentrazione delle forme di tutela dell’interesse legittimo innanzi alla giurisdizione amministrativa, trova adeguata protezione nella perdurante vigenza degli artt. 2 e 4 della legge 20 marzo 1865, all. E, che configurano a tutela del cittadino la giurisdizione ordinaria come presidio per tutte le materie in cui si faccia questione di un diritto civile o politico.

Concludendo, dunque, per la Corte, se l’esame del merito della domanda autonoma di risarcimento del danno è rifiutato per la ragione che nel termine per ciò stabilito non sono stati chiesti l’annullamento dell’atto e la conseguente rimozione dei suoi effetti, il giudice amministrativo rifiuta di esercitare la giurisdizione e la sua decisione, a norma dell’art. 362, co. 1, c.p.c., si presta a cassazione da parte delle S.U. quale giudice del riparto della giurisdizione.

Secondo la migliore dottrina, le giuste preoccupazioni che animano i sostenitori della teoria della pregiudiziale, ossia la garanzia della certezza dei rapporti giuridici connessa alla stabilità del provvedimento inoppugnato; la necessità di non premiare comportamenti scorretti di privati che non impugnino gli atti lesivi al solo fine di far lievitare le voci di danno possano essere, più coerentemente e correttamente, fronteggiate, piuttosto che con la manipolazione analogica di castrazioni processuali, per loro stessa natura dolorose ed eccezionali, con l’utilizzo delle coordinate più schiettamente proprie del diritto sostanziale.

La domanda che sembra, secondo la dottrina, in questa prospettiva, più corretta allora non è quella processuale: è ammissibile la domanda di risarcimento avente ad oggetto un danno cagionato da provvedimento non impugnato? Ma quella sostanziale, dice la dottrina: è meritevole di risarcimento il pregiudizio che il privato si è in qualche misura auto, procurato non impugnando tempestivamente il provvedimento dannoso?

Secondo certuni, a favore di questo spostamento di prospettiva depone il combinato disposto delle coordinate comparate, amministrativistiche e civilistiche, dalle quali si evince il principio comune secondo cui l’omessa impugnazione, piuttosto che fungere da cieco fattore di preclusione processuale della domanda risarcitoria, rileva come condotta colposa che impedisce il risarcimento dei danni che l’impugnazione avrebbe, afferma la dottrina, verosimilmente evitato mentre è neutra con riferimento ai danni che si sarebbero prodotti comunque, rispetto ai quali cioè detta condotta omissiva è eziologicamente muta.

Con un esito che non è una pronuncia in rito d’inammissibilità ma una di merito di reiezione della domanda; nonché con il soddisfacimento, sostanzialmente per equivalente, delle esigenze che muovono i fautori della pregiudizialità nuda e pura.

Come sottolineato dagli studiosi, tutti gli Stati della Comunità si fanno carico dell’esigenza di garantire la stabilità dei provvedimenti e la certezza dei rapporti giuridici da questi governati, con la previsione di termini decadenziali per l’impugnazione.

E tuttavia, sottolinea la dottrina, in assenza di specifiche previsioni decadenziali riferite all’azione risarcitoria, nessun ordinamento soddisfa la pure avvertita esigenza di stabilità dei rapporti giuridici, con l’estensione analogica della preclusione impugnatoria all’autonoma tutela risarcitoria; mentre invece è comune la penetrazione sostanziale del problema con la reiezione nel merito di domande risarcitorie riferite a danni che con l’impugnazione sarebbero stati, in tutto o in parte, evitati.

La morale che emerge dalla comparazione, dice la dottrina, con i principali ordinamenti europei è, quindi, la valorizzazione forte dell’autonomia delle tutele e la connessa irrilevanza processuale dell’omessa impugnazione dell’atto dannoso, per contro apprezzabile, con tecniche cognitive particolarmente rigorose, sul diverso crinale dell’eziologia, e quindi, ai fini di reiezione della domanda.

Come precedentemente ricordato, l’orientamento assolutamente prevalente in giurisprudenza, antedecisioni delle S.U., era quello favorevole alla c.d. pregiudizialità amministrativa.

Il problema sollevato concerne se, mancando un atto da annullare, la pregiudiziale amministrativa, ove ancora sostenibile in via generale, trovi spazio in questo caso particolare. Si sottolinea che, ad avviso della dottrina, la pregiudizialità non viene certamente in rilievo per il danno da ritardo mero, non legato cioè alla rivendicazione della spettanza del bene della vita: e tanto perché a fronte di un danno comportamentale non legato alla spettanza non sembra logico costringere il soggetto alle forche caudine di un giudizio teso a conseguire una pronuncia che accerti la fondatezza del bene della vita o induca l’amministrazione a tale pronuncia.

Il tema, secondo la dottrina, è invece più delicato nel caso in cui l’interessato rivendichi un ritardo qualificato, legato cioè al tardivo conseguimento di uno spettante bene della vita.

Ancora, il più volte citato art. 2-bis della L. 241/1990, introdotto dalla L. n. 69/2009, sembra, a giudizio dei primi commentatori, escludere la pregiudiziale impugnatoria nella misura in cui considera l’azione risarcitoria esperibile, anche isolatamente, nel termine prescrizionale di cinque anni.

La dottrina, non ha mancato riflessioni in tema di pregiudizialità e autotutela, in particolare afferma che con riferimento alla regola della pregiudizialità è quella relativa all’operatività di detto sbarramento in relazione alla tutela risarcitoria nell’ipotesi di provvedimento interessato da autotutela officiosa.

Anche la giurisprudenza fedele al principio della pregiudizialità amministrativa ritiene che occorra la previa impugnazione dell’atto allorché questo sia annullato in via di autotutela prima della scadenza del termine di decadenza previsto per l’impugnazione o in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato.

Ulteriore aspetto precipuo è quello riguardante i rapporti fra tutela risarcitoria e caducazione del provvedimento alla luce del nuovo art. 21-octies della L. n. 241/90.

Il nuovo art. 21-octies esclude l’annullabilità del provvedimento inficiato da vizi meramente formali o procedimentali qualora, per la natura vincolata dell’atto, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

In dottrina, si è osservato che una lettura costituzionalmente orientata della norma impone di riconoscere nelle ipotesi in esame, quanto meno la tutela risarcitoria, anche se tale riconoscimento comporta alcuni inconvenienti, dicono gli studiosi, tanto di ordine sostanziale, quanto di tipo processuale.

Per le problematiche di tipo sostanziale, giova precisare che tenuto conto del secondo co. dell’art. 21-octies, si precisa, però, che l’esclusione della tutela caducatoria, ove ricorra la medesima condizione di non incidenza del vizio sul contenuto sostanziale del provvedimento, è inoltre estesa dal secondo periodo del comma 2, al vizio di omessa comunicazione di avvio del procedimento, e dunque anche ad ipotesi di attività discrezionale (tecnica od amministrativa).

Di conseguenza, afferma la dottrina, di fronte ai vizi formali e procedimentali, e nell’ipotesi di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, il G.A., ai fini dell’annullamento dell’atto sarà tenuto ad effettuare il giudizio sulla spettanza del bene finale della vita.

Nell’ipotesi, dicono gli studiosi, di esito negativo di tale giudizio, al G.A., sarà precluso il potere caducatorio e, ove si aderisca all’orientamento delle S.U. del 1999, dovrebbe a fortiori escludersi anche il risarcimento del danno, proprio perché il giudizio di spettanza sarebbe stato effettuato a monte, ai fini dell’annullamento, con esito negativo.

Tale soluzione presenta, secondo la dottrina, dei gravi inconvenienti in punto di effettività della tutela giurisdizionale ai sensi degli artt. 24, 103 e 113 Cost., in quanto conduce ad una sostanziale degradazione dei vizi formali e procedurali che non si ripercuotano sul contenuto sostanziale del provvedimento, a mere irregolarità, con conseguente esclusione di ogni forma di tutela.

Il superamento di tale obiezione, richiede, da parte degli studiosi, una revisione dei presupposti della tutela risarcitoria, ed in particolare, quanto meno con riferimento ai vizi in esame, un abbandono del paradigma aquiliano nella conformazione disegnata dalle S.U. del 1999.

In definitiva, occorre riconoscere che l’illegittimità formale, pur non cagionando l’annullamento, può determinare comunque un danno risarcibile.

Quanto, invece, alle implicazioni di ordine processuale, giova sottolineare che si è posto in dottrina l’interrogativo sull’applicabilità della regola della pregiudizialità tra azione caducatoria ed azione risarcitoria, nell’eventualità in cui l’annullamento dell’atto sia precluso ai sensi dell’art. 21-octies.

Come attenta dottrina ricorda, in tale ipotesi il giudice si trova di fronte a tre alternative:

respingere la domanda di annullamento; dichiara improcedibile la domanda di annullamento per sopravvenuta carenza dell’interesse a ricorrere, accertando però contestualmente l’illegittimità del provvedimento a meri fini risarcitori; concede la tutela risarcitoria in via autonoma.

L’ipotesi sub a), non appare convincente in quanto, dice la dottrina, per il principio della pregiudizialità tra azione caducatoria ed azione risarcitoria, la reiezione pura e semplice del ricorso precluderebbe al privato anche la via della tutela risarcitoria, con ovvie ripercussioni in punto di costituzionalità dell’art. 21-octies.

Anche l’ipotesi sub b), dice la dottrina, in base alla quale il giudice amministrativo, pur non annullando l’atto, ne accerta l’illegittimità ai fini risarcitori, non è oggetto di condivisione completa.

È stato obiettato, che se è vero che il principio della pregiudizialità sarebbe formalmente rispettato, in quanto residuerebbe per il privato l’onere di richiedere una tutela demolitoria, pur tuttavia il meccanismo presenta profili di artificiosità laddove postula la necessità di richiedere la caducazione di un provvedimento che dovrà essere necessariamente negata.

Sembra dunque preferibile la tesi sub c), in base alla quale nelle ipotesi di vizi formali o procedimentali non invalidanti la tutela risarcitoria potrebbe invocarsi indipendentemente dal previo esperimento dell’azione per l’annullamento dell’atto.

Il danno cagionato dal privato, affermano gli studiosi, andrebbe riguardato, come per l’ipotesi del danno da mero ritardo, quale danno da scorrettezza comportamentale, e non quale danno da provvedimento, e il fondamento della risarcibilità potrebbe rinvenirsi o nell’adesione alla tesi della natura contrattuale della responsabilità della P.A., o in chiave aquiliana a mezzo di un’estensione della nozione di danno ingiusto risarcibile al di là dei confini disegnati dalla sentenza 500/1999.

Anche in questo caso, ritiene autorevole autore, come nell’ipotesi di danno da mero ritardo, o di danno derivante da provvedimento annullato in sede di autotutela si porrebbe il problema della giurisdizione, venendo meno, nell’ipotesi di proposizione in via autonoma dell’azione risarcitoria, quella connessione legale fra tutela demolitoria e tutela risarcitoria che ad avviso della Cassazione, S.U. 1207/06, giustifica la giurisdizione del G.A. sui diritti patrimoniali sonseguenziali.

Con l’attribuzione al G.A. della cognizione delle domande risarcitorie connesse ad atti amministrativi illegittimi, si è posta, in dottrina, la questione dell’ammissibilità di una domanda di risarcimento del danno formulata per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza ad una precedente decisione di annullamento di un provvedimento.

Ad avviso dell’orientamento dominante nell’ambito del giudizio di ottemperanza non è consentito avanzare pretese risarcitorie. L’assunto si basa su diverse considerazioni: il giudizio di ottemperanza non è in grado di accogliere pretese risarcitorie perché si tratta essenzialmente di un giudizio di esecuzione a basso contenuto cognitivo, consistente cioè nell’interpretazione dello iussumcontenuto nella pronuncia da eseguire e nella verifica della sussistenza dell’inadempimento dell’amministrazione.

Al contrario, ove si ammettesse che il giudice dell’ottemperanza può decidere sia dell’an che del quantum della pretesa risarcitoria, si andrebbe a stravolgere immotivatamente il ruolo del giudizio esecutivo rispetto a quello cognitivo.

L’orientamento in esame, del resto, appare in perfetta sintonia con quanto già sostenuto dalla giurisprudenza circa l’estensione dei poteri del G.A. nel giudizio di ottemperanza. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, deve ritenersi inammissibile il ricorso per ottemperanza con il quale si chieda in sede esecutiva un quid pluris rispetto al giudicato stesso, non potendo il ricorrente ottenere in questo giudizio più di quanto gli riconosca il giudicato che ha accolto la sua pretesa.

Anche dopo l’art. 35, co. 2, D.Lgs. n. 80/1998, il Giudice dell’ottemperanza, è chiamato ad un intervento primariamente esecutivo del contenuto del giudicato formatosi nel giudizio di cognizione; solo entro limitati ambiti il giudizio di ottemperanza è idoneo a raggiungere un ulteriore contenuto cognitivo al giudicato già formatosi.

Ancora, la domanda di risarcimento del danno è una domanda nuova soggetta all’ordinario vaglio, articolato in due gradi di giudizio, del giudice di cognizione: ne consegue che, a prescindere dalla natura del giudizio di ottemperanza, la domanda risarcitoria è senz’altro preclusa in sede di esecuzione di una sentenza del Consiglio di Stato.

La traslazione, infine, in sede di ottemperanza di tutto il giudizio risarcitorio comporterebbe una sostanziale trasformazione del risarcimento del danno in una sorte di sanzione patrimoniale il cui versamento consegue, in modo quasi automatico, all’annullamento di un atto amministrativo; laddove è invece necessario accertare l’effettiva sussistenza di tutti gli elementi della fattispecie aquiliana.

Sulla base di tali considerazioni, come attenta dottrina precisa, si arriva alla conclusione secondo cui la cognizione sull’an, e la verifica dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c., spetta alla competenza funzionale del giudice della cognizione; non importa se ciò avvenga nell’ambito dello stesso giudizio annullatorio, ovvero in separata sede, ma comunque pur sempre nell’ambito di un giudizio ordinario articolato sul doppio grado ed a cognizione piena sull’an nonché, se possibile sul quantum delle pretese risarcitorie del danneggiato.

Come ultima analisi, giova evidenziare la prescrizione dell’azione risarcitoria. Parte della giurisprudenza, ispirandosi, come autorevole autore afferma, al principio della necessaria pregiudizialità dell’annullamento rispetto al risarcimento, mostra di ritenere che detto termine di prescrizione ex art. 2947, n. 1, c.c., prende a decorrere, ove si tratti di danni da lesione d’interessi legittimi, dalla pubblicazione della sentenza esecutiva di annullamento e non dal successivo passaggio in giudicato.

In altri precedenti, invece, si richiede il giudicato di annullamento. Tale ultima posizione ha recentemente ottenuto l’autorevole avallo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, decisione n. 2/2006.

Ad avviso della Plenaria le regole da applicare sono le seguenti:

a)  ‑la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere: art. 2935 c.c.;

b)  ‑se l’interruzione è avvenuta mediante un atto che dà inizio ad un giudizio o con una domanda proposta nel corso di un giudizio, il nuovo periodo di prescrizione non decorre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio: art. 2945, co. 2, c.c.

Ne consegue che, in base al principio di pregiudizialità amministrativa, condizione necessaria per la domanda di risarcimento è la pronuncia che riconosce l’illegittimità di provvedimenti dalla cui esecuzione sorgono i danni lamentati e che, in caso di atti autoritativi, è pronuncia che spetta al G.A. Ed è perciò dal passaggio in giudicato della sentenza del G.A. che può avere inizio il decorso del periodo di prescrizione.

In conclusione, secondo la Plenaria, il riferimento al solo carattere esecutivo della sentenza di primo grado non può essere condiviso per ancorare a quel momento il decorso del quinquennio di prescrizione.

Altra tesi, si ricorda, fa riferimento proprio alla pubblicazione della sentenza esecutiva di primo grado, posto che, pur se non definitiva, tale pronuncia caduca retroattivamente il provvedimento e, quindi, elimina l’ostacolo ex art. 2935 c.c. alla proposizione dell’azione costitutiva.

Come certuni osserva in dottrina, il punto di partenza comune ad entrambe le tesi esaminate in punto di decorrenza del termine prescrizionale dell’azione risarcitoria da lesione d’interessi legittimi, è l’adesione alla teoria della necessaria pregiudizialità.

Le recenti prese di posizione delle S.U. contro la pregiudizialità amministrativa hanno fatto venir meno le basi della ricostruzione fin qui esposta.

È sorto quindi il timore dell’adesione ad una tesi rigorosa che, muovendo dall’assunto della netta autonomia delle due azioni, considerasse irrilevante la pendenza del giudizio di annullamento sulla prescrizione del diritto al risarcimento.

Se, infatti, si esclude, a detta degli studiosi, che condizione di ammissibilità dell’azione risarcitoria sia la proposizione della domanda caducatoria del provvedimento lesivo e la coltivazione fruttuosa del successivo giudizio, deve ritenersi che la sentenza di annullamento non costituisca più presupposto imprescindibile affinché il diritto al risarcimento possa essere fatto valere ai sensi dell’art. 2935 c.c.

E ciò con conseguenze, dice la dottrina, particolarmente gravi per il contenzioso pregresso, in seno al quale la falsa convinzione della pregiudizialità ingenerata dalla prevalente giurisprudenza amministrativa ha sconsigliato la proposizione di un’autonoma azione di risarcimento prima della definizione del giudizio di annullamento.

Come affermano i primi commentatori, a fugare tali incertezze è intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite, n. 1137/2008.

A giudizio della Cassazione, la svolta giurisprudenziale che ha reso possibile la riparazione del danno da attività provvedimentale illegittima, senza la preventiva impugnazione dell’atto amministrativo, non può, paradossalmente, aver pregiudicato, dice la Corte, nella sostanza, anziché migliorarla, la posizione del privato che lamenta un danno quale conseguenza di quell’atto.

La sentenza n. 77/2007 della Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 30 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, se da un lato, dice l’Organo nomofilattico, preconizza l’intervento del legislatore al fine di dare attuazione al principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione nel giudizio ritualmente riattivato davanti al giudice che ne è munito, non esclude che del principio, dalla stessa introdotto con la sentenza d’incostituzionalità, i giudici possano far applicazione utilizzando gli strumenti ermeneutici.

Ancora, afferma il Supremo Collegio che la falsa convinzione della pregiudizialità di annullamento, non impedisce di ritenere che ove sia stata proposta domanda di annullamento dell’atto amministrativo, quale (male-inteso) prodromo alla condanna al risarcimento per la lesione del diritto di proprietà, essa sia stata comunque idonea a interrompere la prescrizione dell’azione di risarcimento, e che il decorso sia rimasto sospeso per tutta la durata di quel giudizio.

La questione, secondo i Giudici, è ora semplificata per la concentrazione davanti ad un unico giudice, quello amministrativo, della cognizione sull’annullamento dell’atto e sul risarcimento del danno. Il giudice amministrativo, prosegue la Corte, non può rifiutarsi di esercitare la propria giurisdizione sulla seconda domanda, a motivo della mancata preventiva impugnazione dell’atto tacciato d’illegittimità.

Allo stesso modo deve argomentarsi ove sia stata proposta domanda per l’annullamento dell’atto, in epoca anteriore alla concentrazione davanti al giudice amministrativo anche della tutela risarcitoria.

Ancora secondo il Collegio, se anche oggi non può più parlarsi di pregiudiziale di annullamento, potendo il soggetto privato agire anche solo per conseguire il risarcimento del danno, e dunque non presentandosi più, data l’esistenza dell’atto, un ostacolo al conseguimento di una tutela risarcitoria essendo sufficiente che si profili l’ingiustizia del danno, l’azione promossa davanti al giudice amministrativo per la demolizione dell’atto è valsa ad interrompere la prescrizione dell’azione risarcitoria, perché, sottolinea la Corte, si conservano gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta davanti a quel giudice.

Il principio, secondo la Cassazione, è da ritenere applicabile in ogni ipotesi in cui, anteriormente alla creazione di una giurisdizione “piena” del giudice amministrativo, si sia agito davanti a questo ottenendo l’annullamento dell’atto, ed in seguito si sia adito il Giudice ordinario per la soddisfazione dei diritti patrimoniali consequenziali.

Guarda anche

  • Il potere normativo della p.a.: limiti nel sistema delle fonti

  • BREVI RIFLESSIONI IN MERITO AL REGIME PATRIMONIALE DEI BENI DESTINATI AD UN PUBBLICO SERVIZIO.

  • Ipotesi di svolgimento. Traccia estratta prove scritte carriera prefettizia 2021. La prima. Diritto Amministrativo/Costituzionale.

  • NOVITA’ IN MATERIA ESPROPRIATIVA: BREVI RIFLESSIONI SULLE MODIFICHE AL CODICE DELLE COMUNICAZIONI ELETTRONICHE DEL 2022