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Tema svolto di diritto penale: l’abuso d’ufficio.

Premessi brevi cenni sul reato di abuso di ufficio, si soffermi il  candidato sul suo ambito di applicazione con particolare riferimento alle ipotesi di violazione di norme regolamentari ed alle ipotesi della concessione di titoli abilitativi edilizi rilasciati in violazione del p.r.g.

 di Serafino Ruscica

 Schema preliminare di svolgimento della traccia

–   ‑I caratteri salienti della fattispecie di abuso d’ufficio.

–   ‑L’interpretazione della nozione di violazione di legge.

–   ‑Le conseguenze derivanti dalla violazione di norme regolamentari (tenendo conto della natura delle norme del p.r.g.).

  Dottrina

Fiandaca – Musco, Diritto penale, parte speciale, Delitti contro la P.A., Bologna, 2005.

Gambardella, Abuso d’ufficio e tipologia delle fonti: sulla rilevanza penale della violazione di un «sistema di norme», in Cass. pen., 2001, 3, 1030.

Ingangi, Abuso d’ufficio: la nuova disciplina, in Riv. pen. Economia, 1997, 283.

Ingangi, Abuso d’ufficio e concessione edilizia illegittima: il problema delle norme di legge a precetto generico o incompleto, in Cass. pen., 2000, 2, 350.

  Giurisprudenza

Cass. Pen., Sez. VI, 26 gennaio 2010, n. 3288

È configurabile il reato di abuso d’ufficio a carico di dirigenti comunali qualora rilascino licenze per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente, relativo al trasporto pubblico non di linea, in assenza di una procedura di concorso attraverso la quale selezionare soggetti dotati di determinati requisiti in violazione ai principi di concorrenza vigenti a livello nazionale e comunitario. Il servizio di noleggio con conducente è un servizio pubblico non di linea che ha ad oggetto il trasporto collettivo o individuale di persone, con funzione complementare e integrativa dei trasporti pubblici di linea, sicché la previsione di una procedura di concorso per il rilascio dell’autorizzazione a soggetti che abbiano determinati requisiti appare del tutto compatibile con i principi di concorrenza stabiliti dalla normativa comunitaria e assicura una maggiore trasparenza nella gestione delle licenze e nel trattamento paritario dei soggetti richiedenti, conciliando le esigenze della concorrenza con quelle del soddisfacimento del pubblico interesse (nel caso di specie la Corte aveva configurato il reato di abuso di ufficio a carico di funzionari comunali che avevano rilasciato licenze di autonoleggio con conducente senza indire un bando di pubblico concorso).

 Cass. Pen., Sez. VI, 29 gennaio 2009, n. 7105

Ai fini della configurabilità del reato di abuso d’ufficio può costituire violazione di legge anche quella che si traduca nel vizio di incompetenza c.d. “relativa”, quale previsto dall’art. 21-octies, L. n. 241/1990 (principio affermato, nella specie, con riguardo ad un caso in cui il reato era stato ipotizzato a carico di un assessore comunale e di un dirigente amministrativo cui veniva fatta risalire la responsabilità di una delibera di Giunta che, in materia che sarebbe stata riservata, per un verso, al Consiglio comunale e, per altro verso, al solo dirigente, aveva indebitamente imposto ad un privato, come condizione per il rilascio di una concessione edilizia, la presentazione e l’approvazione di un “preliminare di piano di sistemazione urbanistica”; situazione, questa, che, ad avviso della Corte, dava appunto luogo alla ravvisabilità di una incompetenza relativa e non – come invece ritenuto dal giudice di merito, il quale aveva pertanto pronunciato, anche per questa ragione, sentenza di non luogo a procedere – di una totale “carenza di potere”).

 Cass. Pen., Sez. III, 9 aprile 2008, n. 22134

Integra il reato di abuso d’ufficio il rilascio di una concessione edilizia difforme agli strumenti urbanistici generali – e, segnatamente, al pianointegrato di recupero e riqualificazione urbana – trattandosi di atti da ritenersi equiparati alle norme regolamentari la cui violazione è richiesta ai fini della configurabilità dell’art. 323 c.p., in ogni caso, costituendo il suddetto rilascio di titolo abilitativo illegittimo il presupposto di fatto della violazione della normativa primaria in materia edilizia, alla quale deve comunque farsi riferimento quale dato strutturale della fattispecie delittuosa.

 Cass. Pen., Sez. III, 9 aprile 2008, n. 22134

È configurabile il reato di abuso d’ufficio nell’ipotesi di rilascio di permesso edilizio in contrasto con gli strumenti urbanistici generali – e, segnatamente, al piano integrato di recupero e riqualificazione urbana – stante la loro natura di atti da ritenersi equiparati alle norme regolamentari la cui violazione è richiesta ai fini della configurabilità dell’art. 323 c.p.; infatti, il rilascio di titolo abilitatilo illegittimo costituisce il presupposto di fatto della violazione della normativa primaria in materia edilizia, alla quale deve comunque farsi riferimento quale dato strutturale della fattispecie criminosa.

 Trib. Milano, Sez. X, 31 dicembre 2005

Integra il reato di abuso d’ufficio la condotta del pubblico ufficiale che rilasci una concessione edilizia in violazione della normativa urbanistica, paesaggistica ed aeroportuale, in quanto trattasi di norme aventi uno specifico contenuto prescrittivo e non meramente procedimentale, la cui violazione si riverbera immediatamente sulla concessione edilizia, condizionando la sua stessa esistenza e, dunque, integrando l’abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c.p. (Fattispecie in cui l’Amministrazione comunale rilasciava una concessione edilizia per la costruzione di un parcheggio, distributore di carburante e servizi annessi in area limitrofa all’aeroporto di Linate in violazione del vincolo urbanistico derivante dalle norme di attuazione del p.r.g., del vincolo paesistico derivante dal piano particolareggiato e del vincolo aeroportuale).

Legislazione correlata

Codice Penale, art. 323.

SVOLGIMENTO

 Per ovviare alle inadeguatezze della riforma del 1990 (peraltro portate al vaglio della Corte costituzionale cui era stata prospettata la violazione del principio di precisione e determinatezza della fattispecie) è intervenuta la L. n. 234/1997 ad incidere sulla struttura del reato di abuso d’ufficio, non più costruito, come in passato, quale reato di pericolo a dolo specifico e a consumazione anticipata (integrato ogniqualvolta il pubblico ufficiale abusasse del suo ufficio al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio o di causare ad altri un danno) ma quale reato di evento: la produzione del vantaggio o del danno, prima semplice coefficiente dell’elemento soggettivo, ora segna proprio il momento consumativo del nuovo delitto di abuso d’ufficio, integrato dal “pubblico ufficiale… che… procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”. L’art. 323 c.p. afferma che: “salvo che il fatto non costituisca più grave reato il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un ingiusto danno è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”. Gli obiettivi cui tendeva la riforma erano quelli di assicurare una maggiore coerenza e precisione della fattispecie rispetto al principio di legalità imposto dall’art. 25 comma 2, c.p., in quanto la precedente formulazione descriveva l’abuso di ufficio come condotta del pubblico ufficiale che abusava dei poteri inerenti alla sua funzione, per arrecare ad altri un danno o per procurare a sè un vantaggio. La novelle degli anni ‘90 miravano poi ad evitare, attraverso una maggiore tipizzazione della norma, che il giudice penale sconfinasse in valutazioni proprie della discrezionalità della P.A.

In quest’ottica il legislatore aveva anche provveduto all’abrogazione del delitto di interesse privato in atti di ufficio e della fattispecie del peculato per distrazione. Tuttavia le difficoltà interpretative sono rimaste sotto molteplici aspetti: molto ha fatto discutere l’individuazione del parametro alla stregua del quale individuare l’abusività della condotta in rapporto all’inciso della norma in cui si allude alla violazione di legge o di regolamento o alla violazione dell’obbligo di astensione di chi abbia nella vicenda un interesse proprio o di un prossimo congiunto ovvero alla violazione di altri obblighi di astensione indicati da precise norme di legge.

Tra le più importanti novità introdotte si considerino (ed è questa la novità più significativa) il parametro alla stregua del quale valutare l’abusività della condotta “in violazione di norme di legge o di regolamento”; l’elemento dell’intenzionalità del vantaggio o del danno; la cancellazione della distinzione tra abuso “affaristico” (volto ad un vantaggio patrimoniale) ed abuso semplicemente “prevaricatore”.

Ci si è anche chiesti se la violazione di qualsiasi norma di legge o di regolamento sia idonea ad integrare la “materialità” del fatto di abuso d’ufficio o se, viceversa, si possa e si debba distinguere a seconda del carattere della norma.

Più nel dettaglio, ci si è chiesti se possa concorrere ad integrare l’elemento oggettivo del reato la violazione di norme solo procedimentali, destinate a disciplinare l’iter procedimentale senza dettare, tuttavia, i criteri sostanziali alla cui stregua il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio sono tenuti a definire la vicenda amministrativa sottoposta al loro vaglio. Tre le opzioni emerse.

Per una prima impostazione, va esclusa la rilevanza penale della violazione di norme meramente procedimentali, volte semplicemente a disciplinare dall’interno il dispiegarsi del procedimento amministrativo.

È il caso delle disposizioni che impongono all’amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento amministrativo (artt. 7 e 8, L. n. 241/1990) o il preavviso di rigetto nei procedimenti ad istanza di parte (art. 10-bis, L. n. 241/1990) ovvero, ancora, di tener conto delle memorie e dei documenti prodotti dal privato o di motivare l’atto amministrativo.

Si osserva, a sostegno di questo primo indirizzo, che altrimenti opinando si corre il rischio di ascrivere rilievo penale a mere illegittimità formali o procedimentali, ora inidonee a giustificare la stessa caducazione dell’atto amministrativo ad opera del giudice amministrativo, chiamato a dare applicazione al meccanismo sanante delineato dall’art. 21-octies, co. 2, L. n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 15/2005.

La norma violata, pertanto, non deve essere strumentale alla mera regolarità dell’azione amministrativa, ma deve viceversa vietare una certa condotta o fornire il criterio sostanziale di soluzione della vicenda amministrativa.

Per contrapposta posizione interpretativa, che fa leva direttamente sul dettato normativo del 323 c.p., il legislatore non distingue tra norma e norma, sicché devono reputarsi penalmente rilevanti anche le violazioni di disposizioni meramente procedimentali.

La tesi oggi prevalente è tuttavia quella secondo cui ben può l’abuso di ufficio essere integrato per effetto della violazione di disposizioni anche semplicemente procedimentali, ferma tuttavia la necessità che il giudice volta per volta verifichi la derivazione logico-causale del danno o del vantaggio ingiusto dalla violazione della norma procedimentale.

È necessario per esempio accertare se l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento abbia costituito, anche nelle intenzioni del pubblico ufficiale, lo strumento attraverso cui arrecare il danno ingiusto o provocare l’ingiusto vantaggio. Diventa fondamentale a questo punto indagare la portata applicativa della nozione di regolamento ai fini e per gli effetti di cui all’art. 323 c.p. Si evidenzia come in tale nozione non rientrerebbero, ad esempio, le delibere comunali con cui venga fissato il prezzo della sosta nei parcheggi a pagamento, proprio per la ragione già enunciata per cui la qualifica di regolamento spetta alle sole fonti sub-primarie adottate attraverso un iter regolamentare configurato da un provvedimento di legge e formalizzato con la qualifica di regolamento. Si precisa, infatti, che in tal modo si circoscrive quel margine di norma penale in bianco che è proprio dell’art. 323 c.p. È infatti il legislatore ad imprimere ad alcuni provvedimenti, da lui stesso configurati, valore regolamentare, ed è attraverso la sua ulteriore mediazione formalizzante (attribuzione della qualifica di regolamento) che si penalizzano alcune scelte normative adottate dall’esecutivo, lasciando altre soluzioni normative, frutto di altri procedimenti, nell’area del penalmente indifferente.

Analizzando la casistica giurisprudenziale emerge ad esempio che le delibere di giunta comunale non possono qualificarsi come regolamenti, mancando dei caratteri formali e del regime giuridico loro proprio. Secondo altra opinione sussisterebbe il reato di cui all’art. 323 c.p. in caso violazione di un regolamento comunale sui concorsi e prove selettive: il potere di emanazione (di regolamenti) è espressamente riconosciuto da una legge (carattere di tipicità) ed il soggetto emanante lo qualifica espressamente come regolamento (criterio formale).

Non sono regolamenti, secondo la prevalente opinione giurisprudenziale, le circolari sull’uso delle autovetture di servizio della amministrazione, prive dei suddetti requisiti ed operanti non erga omnes, ma solo nei confronti dei dipendenti dell’amministrazione.

Frutto di un apparente revirement giurisprudenziale, ma in realtà corretta espressione dei principi sopra enunciati, è la questione della natura regolamentare degli accordi collettivi di lavoro (nel caso concreto di dipendenti di A.S.L.).

La suprema Corte ha affermato che sussisterebbe il reato di cui all’art. 323 c.p. in conseguenza della violazione delle norme di tali accordi collettivi, in quanto gli accordi stessi sono resi esecutivi con decreto del Presidente della Repubblica, le cui norme hanno valore formale e sostanziale di regolamento. Con recente sentenza la Cassazione ha negato che la violazione dei contratti collettivi di lavoro abbia natura regolamentare, perché l’art. 2 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, modificato dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e poi trasfuso nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ha privatizzato il rapporto di pubblico impiego, sottoponendolo alla disciplina privatistica del rapporto di lavoro subordinato, e prevedendosi inoltre all’art. 47 del predetto D.Lgs. n. 165/2001 che detti contratti collettivi vengano meramente pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, senza essere più recepiti in D.P.R., come avveniva invece sotto la vigenza della L. 23 dicembre 1978, n. 833. Non costituisce poi fonte regolamentare la delibera del C.I.P.E., poiché l’art. 17 legge n. 400/1988 prevede che i regolamenti, oltre a recare tale denominazione, siano adottati previo parere del Consiglio di Stato e siano sottoposti al visto della Corte dei Conti, formalità non previste per tali delibere. Da ultimo, invece, la Cassazione ha riconosciuto come configurabile il reato di abuso d’ufficio a carico di dirigenti comunali che avevano rilasciato licenze per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente, relativo al trasporto pubblico non di linea, in assenza di una procedura di concorso attraverso la quale selezionare soggetti dotati di determinati requisiti in violazione ai principi di concorrenza vigenti a livello nazionale e comunitario.

Si è inoltre riconosciuta la rilevanza penale della violazione delle norme della legge n. 241/1990 che impongono all’amministrazione il dovere di condurre un’adeguata istruttoria.

Si è sostenuto che l’inosservanza del dovere di compiere un’adeguata istruttoria diretta ad accertare la sussistenza delle condizioni richieste per il rilascio di un’autorizzazione è idonea ad integrare la violazione di legge rilevante ai fini della sussistenza del reato di abuso di ufficio, chiarendo che l’istruttoria amministrativa è imposta da una norma generale sul procedimento amministrativo prevista dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, costituendo una fase procedimentale essenziale e incidente direttamente sul momento finale della decisione, in cui i diversi interessi, pubblici, collettivi e privati, devono essere ponderati.

In sostanza, l’inosservanza del dovere di istruttoria non può essere considerata violazione di semplici norme interne al procedimento, prive del carattere formale e del regime giuridico della legge o del regolamento, in quanto ogni procedimento amministrativo è regolato da norme primarie generali o di settore che prevedono necessariamente un’attività di natura istruttoria preliminare alla decisione finale da parte dell’amministrazione, che deve essere assunta sulla base di una piena conoscenza dei dati di fatto e delle situazioni giuridiche.

Muovendo, quindi, dalla giusta esigenza di scongiurare il rischio che un’interpretazione formalistica del requisito della “violazione di norme di legge o di regolamento” possa vanificare le ragioni politico-criminali della riforma, si sottolinea, al riguardo, la necessità di verificare la sussistenza di un nesso di derivazione causale o concausale tra la violazione di legge o di regolamento posta in essere dall’agente pubblico e l’evento conseguenza dell’abuso.

Quest’ultima lettura pare senz’altro da condividere, attese le consistenti perplessità destate dalla tesi contestata, eccessivamente ampia nell’incriminare qualsiasi violazione di norma di legge o di regolamento: non si possono dimenticare le indubbie implicazioni sostanziali spesso derivanti dall’inosservanza di disposizioni e principi volti a disciplinare le modalità dell’agere amministrativo, tanto più a seguito dei recenti interventi legislativi intesi, nell’ottica di una effettiva democratizzazione dei pubblici poteri, a trasformare il cittadino da inerme spettatore a vero protagonista dell’iter procedimentale.

L’espressione usata nell’art. 323 c.p. per descrivere la condotta abusiva ha suscitato un vivace dibattito relativo all’integrabilità o meno del nuovo delitto di abuso in caso di rilascio di concessione edilizia in contrasto con le disposizioni del piano regolatore generale.

Giova premettere che il legislatore del 1997, nell’inserire il riferimento alla “violazione di norme di legge o di regolamento”, è stato mosso dalla volontà di circoscrivere l’area del penalmente rilevante alle sole attività amministrative poste in essere in violazione di norme prodotte da due ben individuate fonti normative: la legge e il regolamento.

Non è pertanto sufficiente la violazione di una norma, dovendosi trattare di norme di legge o regolamento.

Consegue, quanto allo specifico problema che si esamina, che va verificata la natura giuridica del piano regolatore generale in violazione del quale è rilasciata la concessione edilizia (ora permesso di costruire).

Sul punto in dottrina ed in giurisprudenza emergono vari orientamenti, sviluppatisi soprattutto nella dottrina amministrativistica.

Diverse le implicazioni applicative derivanti dalle differenti opzioni, in specie dal riconoscimento o meno di natura normativa, se non propriamente regolamentare, ai piani regolatori generali.

Si pensi alla possibilità di riconoscere che il GA conosca in via incidentale del piano regolatore non impugnato o alla ammissibilità della sua impugnazione in via autonoma o congiunta al provvedimento applicativo.

Per un recessivo, per quanto autorevole, indirizzo dottrinale il PRG ha natura regolamentare.

A tale esito si perviene valorizzando il carattere di generalità ed astrattezza delle previsioni pianificatorie nello stesso contenute, destinate a trovare concreta attuazione solo con l’adozione dei successivi piani attuativi.

Per differente indirizzo, il PRG è da ricondurre alla categoria degli atti amministrativi generali, sul rilievo della determinabilità a posteriori dei destinatari delle previsioni ivi contenute; destinatari certo identificati per effetto dell’attività amministrativa posta in essere in attuazione delle previsioni di piano.

Per l’orientamento prevalente, va riconosciuta la natura mista del PRG, contenente al contempo previsioni generali e astratte, nonché prescrizioni concrete ed immediatamente lesive.

Si tratta – si sostiene – di provvedimenti amministrativi generali a contenuto precettivo, per i quali possono individuarsi elementi propri degli atti amministrativi puri, laddove contengono istruzioni, norme e prescrizioni di concreta definizione, destinazione e sistemazione di singole parti del comprensorio urbano; in parte qua, gli strumenti di programmazione e pianificazione urbanistica vanno, quindi, tenuti distinti dai regolamenti in senso proprio e collocati tra gli atti che costituiscono manifestazione tipica di potestà amministrativa, in quanto volti a realizzare esigenze specifiche e concrete della P.A. Agli aspetti sopra descritti si affiancano altre caratteristiche che attribuiscono ai Piani regolatori una connotazione in parte normativa. Innanzi tutto, dispongono in via generale ed astratta in ordine al governo ed all’utilizzazione dell’intero territorio comunaleal pari dei regolamenti, introducono elementi di novità nell’assetto ordinamentale e presentano contenuto normativo di livello secondario, pur se correlato alle specifiche necessità di razionale disciplina delle zone in cui risulta suddiviso il territorio comunale.

Da tali riflessioni dovrebbe discendere che il rilascio di concessione edilizia in contrasto con le previsioni del piano regolatore integrerebbe la fattispecie dell’art. 323 c.p. solo nei casi di violazione delle disposizioni del p.r.g. aventi carattere di genericità ed astrattezza.

Questa tesi non è prevalsa però in giurisprudenza.

Si è, infatti, sostenuto che l’art. 323 c.p. sanziona non la violazione di un generico atto a valenza normativa, ma soltanto la “violazione di norme di legge o di regolamento”: non è sufficiente pertanto verificare lo spessore latamente normativo del piano o di talune sue previsioni, occorrendo poter concludere nel senso della sua natura regolamentare.

A tale proposito la Corte di Cassazione ha sempre escluso la natura regolamentare del piano regolatore generale.

A tale esito è pervenuta valorizzando diversi dati normativi.

Tra questi, l’art. 13, L. n. 241/1990, che esclude l’osservanza degli obblighi di cui agli artt. 7 e ss. (comunicazione dell’avvio del procedimento, partecipazione, ecc.) nel caso di specifici procedimenti volti all’adozione di regolamenti, atti generali ed atti di pianificazione: la disposizione, pertanto, cita distintamente regolamenti e p.r.g., così mostrando di distinguere nettamente quest’ultimo dai primi.

Parimenti, la L. n. 142/1990 sugli enti locali e, oggi, il nuovo testo unico enti locali (D.Lgs. n. 267/2000), nell’individuazione dell’oggetto delle competenze consiliari distingue anch’essa tra atti regolamentari ed atti di pianificazione, prevedendo diverse modalità di approvazione, di pubblicità, di entrata in vigore.

La giurisprudenza di legittimità, costante nell’escludere la possibilità che violazioni del p.r.g. integrino violazioni di norme di regolamento, si è divisa, invece, su un’altra questione: se l’adozione di un provvedimento concessorio in contrasto con le disposizioni del p.r.g. possa costituire una violazione di legge ed in particolare dell’art. 31 della legge urbanistica n. 1150/1942 e degli artt. 1 e 4 della L. n. 10/1978 che prescrivono all’amministrazione di attenersi alle norme del piano in sede di rilascio della concessione edilizia.

Un orientamento della Suprema Corte, dunque, nega tale possibilità, reputando ogni interpretazione difforme contraria al principio di determinatezza, corollario del principio di riserva di legge.

Pur non potendo escludere, afferma la Corte, che una norma incriminatrice rinvii, per la specificazione del precetto, ad altri atti normativi, ciò è consentito a condizione che nella norma primaria siano indicati presupposti, condizioni e limiti del precetto stesso. Nel caso di concessione edilizia rilasciata in difformità al p.r.g., invece, questo non avverrebbe: si produrrebbe, infatti, un rinvio a cascata dall’art. 323 c.p. all’art. 31 della legge urbanistica e all’art. 4 della L. n. 10/1978, a loro volta destinati a rimandare alle previsioni del piano, con un vulnus per la determinatezza della fattispecie e la conoscibilità del reato.

La giurisprudenza oggi prevalente, invece, ammette la configurabilità dell’ipotesi in questione.

Si sostiene che non si pone un problema di violazione del principio di legalità: nell’art. 323 c.p., invero, il legislatore, nell’indicare il parametro dell’abusività della condotta, prevede la violazione di legge.

L’art. 31 della legge urbanistica è norma di legge chiara e precisa che pone un obbligo puntuale all’amministrazione: quello di attenersi al piano nel rilascio di concessioni edilizie (oggi permessi di costruire); ogni atto contrario alle previsioni del p.r.g. è dunque compiuto in violazione di legge, e può quindi integrare, nel rispetto delle altre condizioni stabilite dal codice penale, la fattispecie di abuso di ufficio, senza che i principi di tassatività e determinatezza ne siano compromessi.

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