Tema svolto di diritto penale:la nozione di ‘grave nocumento’ in materia di tutela penale della privacy

ELEMENTI  INCIDENTI SULLA PUNIBILITA’: IN PARTICOLARE LA NOZIONE DI ‘GRAVE NOCUMENTO’ PREVISTA IN MATERIA DI TUTELA PENALE DELLA PRIVACY

 

Di Elena Guerri

L’art. 44 cp, rubricato ‘condizioni obiettive di punibilità’, statuisce che se la legge prevede il verificarsi di una condizione ai fini della punibilità di un reato, il colpevole ne risponde appena si avvera, anche se l’evento da cui è dipeso il suo verificarsi non è da lui voluto.

L’art. 158 cp, al comma secondo, stabilisce che il termine per la prescrizione si deve calcolare dal giorno in cui si è verificata la condizione, indipendentemente dalla consumazione del reato.

Come traspare, i due articoli non danno una definizione delle condizioni obiettive di punibilità, per cui alla individuazione ha provveduto la dottrina.

E’ stata scartata la teoria formale, che si basa sulla formulazione letterale della norma, poiché, spesso, anche i delitti aggravati dall’evento utilizzano le stesse formule sintattiche, mentre le due fattispecie sono nettamente diverse.

Le condizioni di punibilità rendono punibile un fatto, i delitti aggravati dall’evento sono quelli in cui un ulteriore evento aggrava un fatto già punibile di per sé.

La dottrina maggioritaria, pertanto, ha utilizzato un criterio sostanziale, basato sulla differenza con gli elementi costitutivi del reato. Mentre questi ultimi individuano i presupposti in presenza dei quali è offeso un bene giuridico, con conseguente verificarsi di un reato, le prime rendono punibile un fatto di per sè già offensivo.

Si tratta, quindi, di un evento esterno, aggiuntivo, contemporaneo o successivo al fatto di reato, futuro ed incerto, al cui verificarsi il legislatore condiziona l’applicazione della pena, nell’esercizio della sua discrezionalità.

In definitiva, le condizioni di punibilità debbono consistere in un avvenimento del mondo esteriore, che non deve essere necessariamente voluto dall’agente e debbono essere estranee alla condotta illecita. Le condizioni concorrono positivamente a fondare la punibilità, delimitando dall’esterno la punibilità di un fatto già completo quanto a suo disvalore e consentendo, così, di perseguire quelle sole situazioni in cui la pena non appaia inopportuna o controproducente.

Quindi, secondo una parte della dottrina, rispetto ad esse, non è necessaria neppure la colpa del soggetto, operando esse del tutto obiettivamente: essendo estranee al contenuto offensivo ed al disvalore del reato, non occorre che siano riconducibili alla colpevolezza del soggetto.

Tuttavia, altra parte della dottrina le ha differenziate in due tipi.

Sono intrinseche nel caso in cui attengano ad un interesse tutelato dalla norma ed aggravino il risultato offensivo della condotta. Ad esempio, l’incesto, ai sensi dell’art. 564 cp, è punito se ne deriva pubblico scandalo: esso non è l’evento del reato e, quindi, il reato non si consuma nel momento in cui esso si realizza, ma al momento del rapporto incestuoso, indipendentemente dal realizzarsi del pubblico scandalo. Ancora, la dichiarazione di fallimento nei reati di bancarotta prefallimentare; il pericolo di malattia nell’abuso dei mezzi di correzione di cui all’art. 571 cp, il nocumento nei delitti contro l’inviolabilità dei segreti.

La ritenuta non necessarietà del legame psicologico con l’autore del fatto tipico delle condizioni intrinseche, a differenza degli elementi costitutivi del reato, potrebbe configurare una responsabilità oggettiva, in contrasto con l’art. 27 Cost. e con il principio della responsabilità personale colpevole. Pertanto, parte della dottrina ritiene che fatti che comunemente vengono considerati come condizioni obiettive di punibilità costituiscano, in realtà, eventi di reato e, come tali, debbano essere avvinti dal nesso psichico con l’autore del fatto.

In definitiva, per non sottrarsi al principio di colpevolezza, serve l’attribuibilità del fatto a titolo di colpa, come violazione delle regole cautelari. Si rammentano le significative sentenze in cui la Corte Costituzionale ha sancito il principio in base al quale la colpevolezza, almeno nella forma minima della colpa, deve coprire tutti gli elementi significativi del fatto, e cioè quelli dai quali dipende il disvalore (o il maggior disvalore) dell’offesa tipica. Pertanto, si può sostenere che le condizioni intrinseche di punibilità, in quanto elementi significativi della fattispecie, non si sottraggono al principio di colpevolezza e devono esser coperte almeno dal coefficiente psicologico della colpa.

Sono estrinseche quelle che sono estranee al risultato offensivo e rappresentano il frutto di scelte di politica criminale. Ne è un esempio il reato ai sensi dell’art. 558 cp, per cui l’annullamento del matrimonio causato dall’impedimento occultato è condizione di procedibilità del reato di induzione al matrimonio mediante inganno.

In questo caso la condizione, in quanto del tutto esterna alla fattispecie, si sottrae alle regole ai sensi dell’art. 27 Cost., comma primo.

Su tale bipartizione, però, non si registra una unanimità di pronunce e illustre dottrina la critica, argomentando come in entrambi i casi si tratti di accadimenti estranei alla sfera dell’offesa del reato che già è presente. Secondo una datata pronuncia della Cassazione, infatti, il pubblico scandalo è una condizione obiettiva di punibilità, indipendente dalla volontà dei colpevoli.

Esposta questa necessaria premessa, l’attenzione verrà, adesso, incentrata sull’art.167 Codice della Privacy, rubricato come “Trattamento illecito di dati”, disposizione che è stata inserita tra quelle attinenti alla tutela penale del diritto alla protezione dei dati personali.

Trattasi di una fattispecie delittuosa, che costituisce una sorta di clausola generale, di completamento di tutela del diritto in questione. L’art.167 recita come segue: 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi. 2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni. “.

Soggetto attivo del reato è chiunque, non necessariamente dunque il titolare del trattamento, ma anche il responsabile o l’incaricato.

La condotta consiste nel “trattare illecitamente” dati personali. Ai sensi dell’art. 4, primo comma, lettera (a del Cod.Priv. è da intendersi per trattamento, con una definizione assai ampia, “qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati”, definizione quanto mai ampia ed omnicomprensiva.

Per configurare l’antigiuridicità di tali operazioni sarà necessario provare la violazione delle specifiche disposizioni di legge extrapenale, previste dal Codice della Privacy e richiamate dall’art.167.

Il delitto è dolo specifico: vi deve essere la rappresentazione e la volontà non solo della condotta, ma anche dello specifico scopo della stessa, del “fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno”.

Illustre dottrina ha precisato che per danno è da intendersi la lesione di  una situazione giuridica soggettiva altrui, rilevante per l’ordinamento, sia essa a carattere morale o affettivo, sia essa a carattere strettamente economico o patrimoniale. Per profitto, invece, il guadagno netto, ma anche il risparmio di spesa o il contenimento di costi, un qualsiasi giovamento intellettuale, estetico, culturale, morale.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, l’espressione “se dal fatto deriva nocumento” è una vera e propria condizione obbiettiva di punibilità, futura ed incerta,  ex art.44 cp. Conseguentemente, la condotta dell’agente è punibile se si verifica tale nocumento, inteso come lesione concreta ed effettiva al bene giuridico protetto dalla norma, senza il quale il reato, per quanto perfetto, non è sanzionabile.

La dottrina osserva come la contemporanea previsione, da parte del legislatore, del dolo specifico e del nocumento, quale evento che deve verificarsi perché si possa assoggettare la condotta a sanzione penale, ha la funzione di limitare e selezionare i casi di trattamento illecito effettivamente punibili e le ipotesi concrete di violazioni e di discriminazioni a causa dell’intervenuta violazione della normativa richiamata nel precetto penale.

            Infine, si è concordi nel ritenere che il nocumento, di cui all’art.167 Cod.Priv., sia condizione obbiettiva di punibilità “intrinseca”, nel senso che essa costituisce un aggravamento ulteriore ed una progressione dell’offesa tipica, approfondendo la carica lesiva già insita nella condotta illecita e rendendola punibile.

Ne deriva la necessità di una attribuzione in termini di colpevolezza all’agente, come ad inizio trattazione esposto, in linea con l’art. 27 Cost. ed anche, come si osserva, con quanto letteralmente previsto dall’art. 44 cp., il quale, ammettendo che l’evento condizionale possa essere anche “non voluto”, esclude soltanto che il dolo costituisca necessario presupposto di imputazione dell’evento medesimo, ma nulla dice sulla colpa e l’interprete ne può richiedere la presenza, ricostruendo l’istituto in chiave costituzionale.

            La Suprema Corte ha avuto modo, recentemente, di intervenire in merito al reato di trattamento illecito di dati personali.

La vicenda trae origine dal trattamento di dati personali svolto dall’imputato senza consenso degli interessati per scopi di propaganda elettorale; si trattava, precisamente, dei dati contenuti in un elenco di iscritti ad una associazione, alla quale egli stesso apparteneva.

La Corte di Appello, ai sensi della previgente disciplina di cui alla legge 675/1996, art. 35, aveva condannato l’imputato per trattamento illecito di dati personali; la Corte di Cassazione ha accolto, invece, il ricorso proposto, annullando senza rinvio il provvedimento impugnato.

In primo luogo, la Suprema Corte rileva che la modifica più evidente apportata dal Codice della Privacy all’art. 35 L. 675/1996 (ora art. 167 del Testo Unico) consiste, sul piano strutturale, nella previsione dell’elemento del nocumento come condizione di punibilità, precedentemente costituente soltanto una circostanza aggravante. Conseguentemente, il delitto è stato trasformato da reato di pericolo presunto in quello di pericolo concreto, con un’ulteriore maggiore tipicizzazione del danno e del profitto.

La nozione di nocumento, secondo l’elaborazione dottrinale già effettuata sotto il vigore della pregressa normativa per la circostanza aggravante, può essere riferita sia alla persona del soggetto cui i dati si riferiscono sia al suo patrimonio in termini di perdita patrimoniale o di mancato guadagno, derivante dalla circolazione non autorizzata di dati personali.

La dottrina osserva come l’inclusione di detto concetto nella fattispecie penale, assieme alla previsione del dolo specifico, ad avviso della Corte, sembra maggiormente tipizzare un evento di danno direttamente ed immediatamente collegabile e documentabile nei confronti dei soggetti ai quali i dati raccolti sono riferiti, sicché deve aversi riguardo ad ipotesi concrete di lesione e di discriminazioni a causa della violazione della normativa richiamata nel precetto penale.

Dunque, devono essere escluse le semplici violazioni formali e le irregolarità procedimentali, ma anche quelle inosservanze che non producano un danno patrimoniale apprezzabile.

Alla luce di quanto detto, la Corte rileva che, nel caso sottoposto al suo esame, è insussistente un nocumento, perché gli interessati-denuncianti appaiono solo indispettiti dall’utilizzazione a fini diversi da quelli statutari, altamente umanitari, dei propri dati personali per piegarli all’interesse personale di un singolo, che riteneva di reperire voti di preferenza per l’elezione al Consiglio Comunale.

In secondo luogo, la Corte si sofferma sulla natura giuridica da attribuire alla locuzione “se dal fatto deriva nocumento”, concludendo che trattasi di condizione obiettiva di punibilità, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata.

La Corte osserva come la stessa nozione di nocumento e le ragioni ad essa sottese dimostrino come il legislatore abbia voluto selezionare tra le condotte che esprimono già in sé un’offesa al bene giuridico, rappresentato dal diritto alla protezione dei dati personali, quelle che assumono un significato più pregnante. Le ipotesi delittuose contemplate dall’art. 167 devono, pertanto, essere circoscritte ai casi in cui il bene tutelato subisca una effettiva e tangibile lesione, dimostrata dal verificarsi del nocumento.

Illustre dottrina, ricorda come, in una diversa occasione, la Suprema Corte ha ritenuto sussistere un nocumento, ai fini dell’art. 167, in relazione alla lesione della tranquillità e dell’immagine sociale subita da una donna in conseguenza della condotta dell’ex fidanzato, il quale aveva diffuso su un sito web, senza consenso, immagini personali della donna tratte da una videocassetta, da cui si poteva ricavare anche il suo numero telefonico.

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