Tutela dell’ambiente e semplificazione amministrativa

TRACCIA-DIRITTO AMMINISTRATIVO ADVANCED

Tutela dell’ambiente e semplificazione amministrativa

Pubblicato il 2.12.2016 Di Giorgia Mantegazza

La semplificazione amministrativa indica una finalità a cui tendono una pluralità di istituti richiamati dalla legge generale sul procedimento amministrativo (l. 241/90 art. 14 ss conferenza dei servizi, art. 15 accordi tra pp.aa., con la variante tematica di successo degli accordi di programma e degli istituti di programmazione negoziata, art. 16 pareri, art. 17 valutazioni tecniche, art. 19 SCIA, art. 20, silenzio assenso), accumunati da una volontà accellerativa dell’azione amministrativa. Istituti che vedono la procedura ordinaria sostituita in tutto o in parte da moduli di concertazione tra pubbliche amministrazioni, ovvero che vedono il procedimento ed il provvedimento amministrativo sostituiti ( o quanto meno trasformati) da un atto di impulso del privato, ovvero ancora il procedimento amministrativo capace di concludersi con il silenzio della p.a. competente.

 In via di prima approssimazione è possibile declinare la relazione intercorrente  tra interesse ambientale e semplificazione amministrativa, nel senso della inapplicabilità generale dei predetti istituti di semplificazione in materia ambientale. Ciò in forza di caratteristiche peculiari dell’azione amministrativa di protezione ambientale, riflesso delle caratteristiche che connotano l’interesse ambientale rispetto ad altri interessi rimessi alla cura dell’Amministrazione. Peculiarità che hanno quale effetto immediatamente consequenziale l’irrinunciabilità dell’apporto istruttorio e decisionale dell’Amministrazione e l’inevitabilità di un’esplicita e adeguata rappresentazione e ponderazione dell’interesse ambientale nei processi decisionali in cui si esprime la discrezionalità amministrativa e di cui venga dato conto in un espresso  assenso amministrativo, la cui valenza, come vedremo può variare a seconda dei casi. Esso può coincidere con il provvedimento conclusivo di un procedimento finalizzato al perseguimento da parte dell’amministrazione procedente proprio dell’interesse ambientale. In altri casi, invece, può coincidere con un atto endo-procedimentale, presupposto o parte integrante, di un più ampio procedimento autorizzatorio, avente ad oggetto l’assentibilità di un’attività umana, di un progetto o di un programma. Un procedimento in cui l’interesse primario perseguito dall’amministrazione procedente non coincide con l’interesse ambientale, ma interferisce con esso. Infatti, la compatibilità ambientale di detta attività, progetto o programma è destinata ad essere accertata nell’ambito di un sub-procedimento o di una singola fase procedimentale la quale fa capo a detto assenso amministrativo.

Per meglio comprendere il significato delle affermazioni di principio sopra svolte giova analizzare brevemente la natura giuridica del bene ambiente.

Sul punto si sono avvicendate nel tempo due diverse opzioni ermeneutiche, entrambe valide in quanto fondate su una corretta analisi del contesto normativo e sociale vigente al momento della loro elaborazione.

La tesi più risalente, elaborata da autorevole dottrina agli inizi degli anni 70, ha individuato nell’ambiente una nozione meramente descrittiva, sintesi di una pluralità di interessi eterogeni, afferenti ad ambiti materiali differenziati, disciplinati da normative di settore frammentarie non coordinate tra di loro e solo latamente riconducibili all’ambiente quale autonomo oggetto di tutela. Un ambiente declinabile in senso naturalistico come il complesso delle bellezze naturali, paesaggistiche e culturali; ovvero come l’insieme dei fattori afferenti al fenomeno dell’inquinamento ambientale; ovvero ancora come sinonimo di assetto del territorio. Mancava in quel momento, in ambito nazionale ma anche sovranazionale, qualsivoglia elemento idoneo a fornire organicità al sistema. Nessun riferimento all’ambiente era presente nelle Carte Onu del tempo, come nel Trattato CEE o nella nostra Costituzione. Non era parimenti stato individuato alcun centro di riferimento di tale interesse.

La situazione è mutata agli inizi degli anni 80 quando l’ingravescenza dell’inquinamento ha favorito l’emersione di nuove istanze di tutela, che non hanno trovato tuttavia adeguata risposta e soddisfazione nel quadro normativo vigente o negli organismi esistenti. Si è sviluppata, dunque, una crescente sensibilità ambientale che ha fatto dell’ambiente materia di interesse istituzionale ad ogni livello di governo e che ha portato alla creazione  di organismi dotati di competenza in materia. Quanto all’Italia pensiamo anzitutto al Ministero dell’Ambiente istituito con l. 349 nel 1986 e dotato di una competenza generale e trasversale (come trasversale è la materia ambientale in grado di incidere e interferire con diversi ambiti di attività), che si esprime per lo più in un potere di intervento in procedimenti amministrativi che rimangono nella titolarità di altre p.a. e non finalizzati primariamente a perseguire la tutela ambientale.

La l. 349/86 ha individuato tra le diverse componenti ambientali quei nessi organizzativi necessari a qualificare l’ambiente come nozione giuridica autonoma e di sistema, la quale non viene intaccata dalla circostanza che l’ambiente possa essere fruibile in diverse forme e con diversi ruoli, o dalla sua natura composita, anche se le singole componenti ambientali possono essere isolatamente considerate e protette anche da specifiche normative di settore. Una visione accolta anche dalla Corte costituzionale, spinta a ciò dalla previsione da parte del Testo unico in parola di un’apposita disciplina dedicata al danno  ambientale. Ciò ha portato al superamento della visione soggettivistica e antropocentrica accolta dalla stessa Consulta sul finire degli anni 70, che individuava nel diritto ad un ambiente salubre una peculiare estrinsecazione del diritto di proprietà prima e del diritto alla salute poi.

L’ambiente come bene autonomo giuridicamente rilevante, un quid oggetto di diritti e tutela autonomi, immunizzato dalle forze di attrazione di altri diritti. Come confermato peraltro anche in sede euro-comunitaria dalla Commissione europea, la quale nel declinare le “esigenze imperative”, idonee a costituire limiti alla libera circolazione delle merci alla stregua di una nota sentenza della CGUE del 1979, ha affiancato alle istanze di tutela dei consumatori e della salute collettiva, un espresso riferimento alla tutela ambientale.

È in quest’ottica relazionale e d’insieme  che vanno letti i molteplici richiami normativi nazionali e sovranazionali alle istanze di tutela del c.d. sviluppo sostenibile, sintagma atto a designare il rapporto di interdipendenza paritaria tra le esigenze di mercato e le istanze legate al perseguimento degli obbiettivi di sviluppo economico e sociale, da un lato, e l’interesse ambientale dall’altro. Detta locuzione costituisce il limite al massimo sviluppo quando quest’ultimo raggiunga dimensioni quantitative o qualitative tali da impingere con l’interesse ambientale e con la qualità della vita da garantire alle generazioni future.

Ci troviamo dinanzi dunque ad istanze e interessi, suscettibili di entrare in conflitto tra loro. Un conflitto che vede quale propria sede naturale di definizione il procedimento amministrativo, in cui detti interessi si fronteggeranno secondo tecniche di confronto che possono andare dall’aperta contrapposizione al dialogo competitivo. Un conflitto che non trova nell’ordinamento giuridico una regola statica e predeterminata di  risoluzione, ma la cui composizione coincide con l’individuazione di un punto di equilibrio dinamico frutto di un giudizio di bilanciamento in concreto, da svolgersi nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.

Un giudizio che certamente potrà essere influenzato dalla rilevanza costituzionale dell’ambiente: la primarietà del bene ambiente si traduce non  in un vincolo di risultato, in una prevalenza assoluta, aprioristica ed ad ogni costo dell’interesse ambientale, ma in un onere di adeguata rappresentazione e di certa ed esplicita ponderazione di detto interesse nell’ambito dei processi decisionali.

Per completezza è bene dire che la rilevanza costituzionale dell’interesse ambientale è stata riconosciuta dal Giudice delle Leggi ben prima che l’ambiente trovasse espresso riconoscimento nella nostra Carta fondamentale. Il patto costituzionale post-bellico del 1948, in linea con la tradizione giuridica delle Costituzioni democratico-liberali del tempo, non ha in alcun modo fatto richiamo all’ambiente ( tanto che inizialmente dottrina e giurisprudenza ne hanno argomentato la rilevanza costituzionale facendo rinvio alla tutela del paesaggio ( art. 9 Cost.) o alla salute (art. 32 Cost.). La situazione è mutata solo con la riforma costituzionale del 2001: solo allora la nostra costituzione si è adeguata alle c.d. costituzioni di terza generazione ( il cui sviluppo e la sua diffusione ha avuto inizio nei paesi industrializzati a partire dagli anni 70), le quali hanno il merito di riconoscere a vario titolo cittadinanza costituzionale al bene ambiente.

Ad oggi, l’art. 117 Cost. riserva la materia della tutela ambientale alla potestà legislativa esclusiva dello Stato rimettendo, invece, trattandosi di materia concorrente alla potestà legislativa delle Regioni nel rispetto dei principi fondamentali di matrice statale la promozione dei beni culturali e ambientali. Spetta dunque allo Stato la fissazione di standards omogenei di tutela ambientale, valevoli per tutte le Regioni e da esse inderogabili.

Pur tuttavia la tutela ambientale non è materia che interessa esclusivamente l’agire di Stato e Regioni, questo perché la protezione ambientale, obbiettivo il cui perseguimento deve essere assicurato dall’Amministrazione, rappresenta il risultato di una pluralità di comportamenti virtuosi dei soggetti pubblici come degli attori non statuali interessati al perseguimento di detto miglior interesse. Ciò è stato reso evidente della stessa Consulta già sul finire degli anni ottanta quando ha definito l’interesse ambientale valore costituzionale a contenuto integrale, fondato sulla coessenzialità degli elementi ecologici, estetico-culturali e sanitari, da un lato e dell’elemento partecipativo dall’altro. Ugualmente improntato alla cooperazione e all’interazione tra le pubbliche amministrazioni (tra loro, in ossequio al principio di leale collaborazione) ed i privati ( in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale art. 118/4 Cost.) pare l’attuale modello di governace ambientale di derivazione comunitaria ( art. 191 TFUE) fatto proprio dall’attuale codice dell’ambiente, il quale vede la tutela ambientale come compito condiviso da “tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private” (art. 3 ter d.lgs 152/2006).

Un modello di governance ambientale costruito su una scala gerarchica di opzioni:  dove elemento fondante e principe è l’azione preventiva  (secondo una pozione estremistica assunta dalla dottrina, ma che ci aiuta a comprendere i termini della questione: in ambito ambientale o si agisce prima del verificarsi del danno o qualsivoglia intervento sarà ben poca cosa), corroborato dal principio operativo di centrale importanza c.d. di precauzione ( che si sostanzia in un’anticipazione della soglia di tutela dell’interessa ambientale , tutelato avverso non solo pericoli certi e scientificamente comprovati, ma anche pericoli supposti o ipotizzati), cui si accompagna quale criterio riparatorio risarcitorio il c.d. chi inquina paga: che almeno l’inquinante paghi se non è intervenuto a monte nell’evitare il danno ambientale, o medio-tempore nel limitarne la portata o scongiurarne l’ingravescenza in ossequio all’altro importante principio di correzione ( un canone di responsabilità oggettiva legato al mero riscontro del nesso causale tra la condotta inquinante e il verificarsi del danno ambientale, orientato all’internalizzazione del danno ambientale, ponendolo a carico di colui che fosse in condizione di svolgere l’analisi costi-benefici rispetto allo svolgimento di detta attività inquinante e non sulla comunità. Un paradigma di responsabilità non pienamente soddisfacente in ipotesi di danno ambientale cagionato da autore ignoto e di cui si discute una possibile estensione nel senso del c.d. chi usa paga).

È dunque di chiara comprensibilità come anzitutto la funzione amministrativa di protezione ambientale sia da ricondursi al modello idealtipico del c.d. control and command, del controllo amministrativo preventivo, il quale è se vogliamo dire caratterizzato da una bifasicità.

Una prima fase di regolazione che potremmo dire coincidere in via di prima approssimazione con la preliminare statuizione di standard e regole di comportamento, alla stregua delle quali valutare la compatibilità ambientale di attività umane, permettendone o vietandone l’esercizio o l’incremento.

Una funzione regolatoria che rappresenta per certi versi il nucleo centrale della tutela ambientale, come detto orientata alla prevenzione dei danni ambientali. Essa fa capo ad una decisione politica discrezionale  assunta dall’amministrazione in ordine alla soglia di sostenibilità del rischio ambientale. Decisione che vede  la sua base fattuale di riferimento, nelle risultanze di una  preliminare istruzione tecnico-scientifica spesso  di elevatissima complessità e attitudine specialistica ( tanto da essere demandata ad agenzie indipendenti di provata professionalità, secondo un meccanismo di differenziazione del risk assesment e del risk management), che rappresenta il reale momento di emersione, comprensione, valorizzazione e studio delle esigenze di tutela ambientale. Individuata la protezione ambientale come obbiettivo che l’Amministrazione è chiamata a perseguire è di solare evidenza l’irrinunciabilità di detta fase istruttoria, la sua incomprimibilità al pari della sua insostituibilità con meri comportamenti di fatti o valutazioni sommarie, che violerebbero la considerazione puntuale ed certa da assicurare all’interesse ambientale, data la prima citata primarietà costituzionale che lo caratterizza. Ecco meglio spiegata una se non la principale ragione della specialità della funzione amministrativa di prevenzione ambientale sotto il profilo della inapplicabilità degli istituti di semplificazione amministrativa.

All’importante fase di regolazione ne segue  una seconda ugualmente centrale per concretizzare la tutela dell’interesse ambientale che si sostanzia nella  previsione di strumenti atti ad ottenere dai consociati l’osservanza dei predetti standard. Strumenti che possono operare più tradizionalmente sul piano dei poteri amministrativi autoritativi, ovvero sul piano negoziale degli strumenti  di mercato o volontari. Nell’analizzare questi ultimi possiamo dire che si possono tradurre nella creazione di mercati artificiali ( es. provvedimenti amministrativi negoziabili: certificazioni bianche e certificazioni verdi) o nell’operare su mercati reali tentando di orientare le scelte del consumatore a favore di imprenditori virtuosi ( es. Ecolabel), ovvero ancora favorire l’accesso di questi ultimi alle procedure di evidenza pubblica (es. appalti verdi).

Tornando invece a parlare della funzione amministrativa autoritativa di protezione ambientale, giova ricordare come la stessa possa atteggiarsi diversamente.

Nel primo caso l’ambiente costituisce l’interesse primario oggetto di tutela al cui perseguimento è merito l’intero procedimento amministrativo, destinato a concludersi con un assenso amministrativo di cui possono variare caratteristiche e forma. In tale ambito possiamo pensare ad es. alle autorizzazioni. In particolare, per quanto di interesse in questa sede all’autorizzazione integrata ambientale (AIA), strumento  in cui coesistono e attraverso il quale trovano soddisfazione le istanze di semplificazione amministrativa e di miglior protezione ambientale. Si tratta di un unico titolo abilitativo che attrae in se tutti gli assensi amministrativi necessari alla messa in opera di un impianto industriale inquinante. Afferisce primariamente all’aspetto gestionale dell’impianto ( e non all’aspetto strutturale e localizzativo più propriamente tipico della VAS), vuole assicurare la migliore compatibilità ambientale sotto il profilo dell’efficienza energetica, del corretto sfruttamento delle materie prime, la gestione dei rischi,  e la prevenzione degli incidenti ed al contempo efficienza, efficacia, speditezza ed economicità dell’azione amministrativa. Risponde ad esigenze di semplificazione in quanto consente la valutazione contestuale di tutti gli interessi ambientali in gioco e ne sostituisce gli assensi amministrativi, ma altresì assicura una miglior tutela ambientale in quanto fornisce una visione d’insieme dell’aggressione alle risorse ambientali che potrà derivare dall’esercizio di quell’attività.

Detto ciò, molto più frequentemente in ragione della trasversalità dell’interesse ambientale va assicurata nell’ambito di procedimenti amministrativi finalizzati al perseguimento di interessi diversi dall’ambiente, in cui la compatibilità ambientale diviene come detto valutazione endo-procedimentale ovvero oggetto di un subprocedimento. Possiamo pensare alle valutazioni ( in particolate a VIA e VAS) e ai nullaosta. In quest’ultimo caso l’autorizzazione allo svolgimento di una data attività ( più di frequente produttiva od economica) è subordinato al previo rilascio del placet del Ente demandato alla cura dell’interesse ambientale.

Venendo alle valutazioni possiamo dire che esse si traducono in assensi amministrativi di natura obbligatoria e vincolante, precondizione necessaria per la legittima autorizzazione allo svolgimento di attività, progetti o programmi.

Più nel dettaglio, la VIA attiene alla preventiva individuazione degli effetti sull’ambiente di un dato progetto, al fine di individuare le soluzioni più adeguate al perseguimento della tutela ambientale ha la volontà di anticipare l’emersione e la concreta presa in considerazione delle istanze ambientaliste alla fase di elaborazione, adozione e approvazione del progetto stesso.

 La VAS ancora di più si propone come strumento di anticipazione temporale dell’evidenziazione, emersione e considerazione delle istanze ambientaliste funzionalizzate alla preventiva tutela  ambientale, in quanto fornisce un quadro della compatibilità ambientale non del singolo progetto, ma ancor prima del programma o del piano  che la Amministrazione è chiamata a realizzare nell’ambito dell’attività di pianificazione, programmazione istituzionalmente demandatale. Il parere motivato vincolante, contenete condizioni e osservazioni, consente di avere il polso del costo ambientale del complesso di attività prospettate in un dato ambito territoriale.

Così citati alcuni dei principali assensi amministrativi in cui si traduce la funzione amministrativa di protezione ambientale, è bene analizzare una caratteristica comune di detti provvedimenti, rilevante sotto il profilo della semplificazione amministrativa, quale applicazione specifica del divieto generale sopra citato, che consiste nell’inammissibilità della loro formazione per silentium. Circostanza che trova il suo fondamento normativo nell’art. 20 quarto comma della legge generale sul procedimento amministrativo, il quale afferma eccezionalmente il principio del provvedimento espresso, in un diritto amministrativo  in cui l’assentibilità per silentium è divenuta la regola. La su richiamata disposizione afferma infatti l’inapplicabilità dell’art. 20 l. 241/90 rubricato “silenzio assenso” “agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico”, nonché “ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali”, ed infine anche “ ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza”, circostanza quest’ultima che vale anche per la materia qui oggetto di analisi come espressamente previsto in tema di Via e Vas.

 Tale scelta è facilmente comprensibile ancora una volta richiamando l’onere di esplicita ponderazione dell’interesse ambientale, la cui soddisfazione può trovare dimostrazione  solo  provvedimento di assenso amministrativo espresso o meglio nella sua motivazione. A ciò si aggiunga l’efficacia conformativa che nella massima parte dei casi fa capo a detti provvedimenti indicanti, criteri limiti e presupposti per l’esercizio dell’attività umana in questione.

Va però ricordato come si tratti di un divieto suscettibile di deroga nell’ipotesi in cui l’assentibilità per silentium di una data attività non si ponga di fatto in contrasto con la miglior tutela ambientale, circostanza che il nostro Giudice delle Leggi al pari della CGUE ha ritenuto ricorrente in ipotesi in cui il grado di  discrezionalità  decisionale dell’amministrazione e la complessità dell’accertamento non  risulti elevato ( es. proroga autorizzazione ambientale).

Così descritto l’aspetto più propriamente amministrativo della relazione tra tutela ambientale e semplificazione amministrativa, si vuole concludere ricordando come la semplificazione sia nozione polisemica, afferente non solo l’attività amministrativa, ma anche e prima di tutto l’attività legislativa.

L’inconciliabilità tra semplificazione e miglior tutela ambientale è anche determinata per alcuni Autori, infatti,  da uno scarso livello di qualità della regolazione normativa, determinata da ipertrofia legislativa: da un corpo di norme dal contenuto oscuro, tecnicamente non adeguato, la cui efficacia reale è subordinata all’intervento nel tempo di una pluralità di regolamenti. Norme che peraltro sono oggetto di continua rivisitazione e ripensamento, che preclude l’affermarsi sul punto di una prassi applicativa effettiva. Una condizione di incertezza che unita alla naturale incertezza  e al continuo divenire della tematica ambientale, certo non costituisce una base rassicurante per la realizzazione della miglior tutela ambientale, rendendo necessario un  approfondimento costante delle circostanze del caso concreto da parte della p.a. con conseguente inapplicabilità degli strumenti di semplificazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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